La resistenza di Manila

Così le Filippine si difendono dalla Cina e difendono (anche il nostro) diritto internazionale

Giulia Pompili

Non è ancora una situazione paragonabile a quella del Mar Rosso, ci dice l’ambasciatore delle Filippine in Italia, Neal Imperial, ma potrebbe diventarlo. Le rivendicazioni di Pechino, l'assertività che diventa aggressività in un'area di mare cruciale per i commerci internazionali

Mentre gli occhi del mondo occidentale sono sul Mar Rosso e sul ricatto del gruppo terroristico degli houthi, sostenuti dall'Iran, che minacciano il trasporto marittimo regionale (secondo Ispi la crisi potrebbe far aumentare i prezzi generali in Europa del +1,8 per cento entro il prossimo anno), c'è un'altra potenziale crisi marittima che va avanti da mesi, dall'altra parte del mondo, e che potrebbe avere effetti simili, se non peggiori. A minacciare lì non ci sono gli houthi, ma la seconda economia globale, nonché la prima potenza marittima del mondo, la Repubblica popolare cinese. La situazione nel Mar Rosso è paragonabile a quella nel Mar cinese meridionale? “Non ancora”, dice al Foglio l’ambasciatore della Repubblica delle Filippine in Italia, Neal Imperial. Nel Mar cinese meridionale i cargo sono ancora “autorizzati a transitare indisturbati”, spiega, “ma se si guarda alla proiezione delle azioni cinesi e allo strisciante controllo di quelle acque, la paura è che possano imporre restrizioni sul passaggio delle navi, visto che considerano praticamente tutto il Mar cinese meridionale parte delle acque territoriali cinesi”. ”. Annualmente, attraverso quelle acque passa più del 22 per cento del commercio globale totale e un terzo del trasporto marittimo globale, gran parte del commercio tra Europa e Asia, in un passaggio che potrebbe essere monopolizzato da Pechino.

 

 

Neal Imperial, arrivato a Roma da poco meno di un anno, dice che per sensibilizzare l’opinione pubblica europea su quel che sta succedendo in Asia serve soprattutto mostrarne i potenziali effetti economici. Le attività assertive e aggressive cinesi nelle acque rivendicate da Pechino stanno aumentando esponenzialmente.  Anche perché è cambiato l’approccio nelle Filippine, il principale paese vittima della tattica cinese, dopo la fine dell’èra del presidente Duterte e l’insediamento del presidente Ferdinand "Bongbong" Marcos Jr. nel giugno 2022, che ha rafforzato le relazioni con l’America – aumentando i permessi per la presenza militare americana nel paese – intensificato quelle con il Giappone e il resto dei paesi “like-minded”, sostenendo la democrazia a Taiwan e “il legittimo diritto di Israele a difendersi” dagli attacchi terroristici.  Un anno fa Marcos ha fatto una visita di stato a Pechino, dal leader Xi Jinping, nella speranza di risolvere la controversia nel Mar cinese meridionale, ma non è successo. “Sin da quella visita di stato, la situazione ha subito una svolta verso il peggio”, dice il diplomatico. C’era stata “un'intesa chiara per non far crescere la tensione e per non ostacolare la comunicazione, infatti uno degli accordi riguardava la creazione di una linea di comunicazione diretta tra i nostri ministeri degli Esteri. Nonostante questo e nonostante gli ottimi colloqui, sfortunatamente le vessazioni sono continuate e hanno continuato a impedire a decine di migliaia di pescatori di raggiungere le nostre zone di pesca tradizionali”.

 

L’anno scorso, nel comunicato finale del vertice del G7 di Hiroshima, è stato inserito per la prima volta nella storia un riferimento alla “preoccupazione” dei paesi membri per le vicende nel Mar cinese meridionale e nel Mar cinese orientale, dove la Cina usa la sua Guardia costiera, ma anche le milizie marittime, nel tentativo di cambiare lo status quo: “Hanno attaccato, con cannonate d'acqua, le nostre navi di rifornimento che stavano conducendo missioni di rifornimento di routine”, quelle che le Filippine conducono “da decenni”, spiega il diplomatico, verso la BRP Sierra Madre, una vecchia nave cisterna da sbarco che Manila, nel 1999, decise di far incagliare di proposito nella Seconda secca di Thomas, una scogliera sommersa tra le Isole Spratly, e di farci stazionare un piccolo contingente per dissuadere la Cina da eventuali azioni di forza.

 

 

Negli ultimi mesi, però, gli episodi di bullismo e di proiezione di forza hanno iniziato a intensificarsi: “A dicembre hanno bloccato per due volte le nostre navi rifornimento e la nave della Guardia costiera che le scortava”, dice l’ambasciatore. “Fortunatamente quegli episodi sono stati filmati dalla Guardia costiera e quelle riprese diffuse attraverso i media, in modo che il mondo sia più consapevole della situazione”. Stiamo facendo del nostro meglio per fare de-escalation, dice l’ambasciatore, ma “l'instabilità e le tensioni che stiamo vivendo sono un risultato delle azioni aggressive cinesi, unilaterali e illegali”. E smentite anche da una sentenza del tribunale arbitrale internazionale nel 2016, che ha deciso che le rivendicazioni di Pechino nel Mar cinese meridionale sono illegittime. La Cina rispose semplicemente non riconoscendo e quindi ignorando quella decisione.

 

 

Due giorni fa Pechino ha diffuso le immagini della sua Guardia costiera che allontana due piccoli pescherecci filippini da un’area rivendicata dalla Cina. Subito dopo online si è diffuso un video fake dell’imbarcazione cinese colpita da un missile: quell’escalation è falsa, ma il rischio che un incidente inneschi una reazione a catena, nel Mar cinese meridionale, resta altissimo. Se non succederà, sarà solo per via della capacità delle Filippine mantenere calma la situazione, ma nello stesso tempo di difendere il suo diritto, e quindi il diritto internazionale.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.