la tregua

C'è un piano ambizioso della Cia per liberare gli ostaggi

Micol Flammini

Burns arriva in Europa per parlare con i capi dell'intellingence di Israele, Egitto e Qatar. Secondo i funzionari americani si discute l'accordo più ambizioso e importante. In Israele, si cerca di mettere ordine alla confusione politica per autare la diplomazia

E’ il momento di ricomporsi, di recuperare l’unità, di stringere i denti e di andare avanti. La politica israeliana è litigiosa per costituzione, ma dopo la tempesta di minacce di rotture i leader del paese hanno deciso di dare un senso alla confusione. Benny Gantz, Gadi Eisenkot, Gideon Sa’ar, nessuno di loro ha un buon rapporto con Benjamin Netanyahu, ma dopo i giorni delle liti è arrivato il momento di mettere  ordine. Sa’ar, che ha fatto parte del Likud e ha sfidato Benjamin Netanyahu per diventarne leader, ha detto che andare al voto sarebbe un errore.  Gantz ha fatto un nuovo e urgente richiamo all’unità, senza specificare se nei confronti del premier o all’interno della società, dove le proteste si sommano, si estendono, si accavallano tra chi chiede un accordo akhshav (adesso) per salvare gli ostaggi e chi ripete imperterrito lehakhkria (vincere). Prima tutti sapevano cosa volesse dire “vittoria”, adesso il termine si colora di vari sinonimi e per alcuni inizia ad avere un significato vuoto. Anche l’esercito sta provando, ancora una volta, a riavvicinarsi alla politica e il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha congelato la formazione di una squadra creata per investigare sulle falle del 7 ottobre. Aveva annunciato la sua intenzione durante un incontro con il governo, il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir gli si era scagliato contro e si era preso dell’imbecille da parte di Benny Gantz, che aveva provato a spiegargli che   la squadra non sarebbe andata a caccia di prove di colpevolezza, ma avrebbe avuto il compito di rintracciare le lacune che avevano  portato al 7 ottobre permettendo ai terroristi di attaccare i kibbutz, uccidere, sequestrare senza essere fermati in tempo. Mettere fine alla confusione interna è importante anche dal punto di vista dei negoziati. Gli Stati Uniti sono convinti di avere in questo momento  delle opportunità importanti e, secondo Axios, il segretario generale della Cia, William Burns, nei prossimi giorni verrà in Europa per incontrare i capi delle intelligence di Israele, Egitto e Qatar. Burns era stato fondamentale nel delineare il primo e unico grande accordo di fine novembre che aveva permesso la liberazione di oltre cento ostaggi e anche le speranze per questo suo viaggio sono alte: i funzionari americani coinvolti parlano di un accordo ambizioso. Ci sono più di centotrenta israeliani che rimangono nella Striscia nelle mani dei terroristi, le proteste delle famiglie sono grandi, dolorose, scrivono la storia di un paese che nella parola “vittoria” inizia a vedere un prezzo troppo alto da  pagare

Il rapporto tra Burns e il capo del Mossad David Barnea è stato cruciale finora, ha consentito anche di superare le divergenze della politica, la freddezza tra Benjamin Netanyahu e Joe Biden. Un’altra rottura politica si è creata mercoledì quando il premier Netanyahu ha dubitato del ruolo del Qatar al tavolo dei negoziati. A Doha vive la sedicente leadership politica di Hamas, il Qatar ha finanziato il gruppo, ma finora si è rivelato un mediatore essenziale, insostituibile nonostante la sua ambiguità. La tentazione di Bibi di rompere con tutti preoccupa i suoi alleati e oggi è stato l’ex capo del Mossad Yossi Cohen a intervenire per definire “sconcertanti” le sue accuse al Qatar. Cohen sta entrando sempre di più in  politica, ambisce a sostituire Netanyahu, finora riserva critiche puntuali, non si prende la scena e si concentra sulle questioni internazionali. Quel che preoccupa gli alleati-oppositori di Netanyahu (alleati perché sono entrati nel gabinetto di guerra per senso di responsabilità e oppositori perché non condividono le sue politiche e sperano che il paese possa presto votare) e impensierisce anche  gli Stati Uniti è che per non indispettire la sua maggioranza, Bibi possa arrivare a sabotare gli sforzi diplomatici che seguono la strategia chiara di  isolare il più possibile Hamas: il governo israeliano è saldo fino a quando i suoi ministri estremisti non decideranno di togliere la fiducia e i loro piani per Gaza sono molto diversi da quelli condivisi dagli americani.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.