in egitto

Anche Hamas ha un piano per il dopo guerra

Micol Flammini

I leader del gruppo erano al Cairo non tanto per parlare di una tregua, ma per pensare al futuro. Pensano di coinvolgere Fatah per restare nella Striscia, istituzionalizzarsi, ma senza ripudiare il loro statuto

Hamas ha rifiutato la proposta di liberare quaranta ostaggi in cambio di una tregua di sette giorni, vuole il cessate il fuoco permanente, che tradotto vuol dire: la fine della guerra. Per la prima volta, i terroristi della Striscia di Gaza hanno portato con loro durante le trattative i membri del Jihad islamico che  tiene in prigionia un numero non precisato di ostaggi. Le due organizzazioni terroriste avrebbero detto ai mediatori egiziani incontrati al Cairo che, prima di parlare di qualsiasi accordo, Israele deve fermare l’offensiva. L’andamento dei bombardamenti contro le città israeliane è un indicatore per capire come vanno le trattative, come si muove la diplomazia.  Ieri è stata una giornata molto intensa, le sirene hanno suonato per tutto Israele, segno del fatto che  i terroristi hanno ancora razzi e postazioni, nonostante ieri, l’esercito israeliano abbia detto di avere il pieno controllo di Gaza City. In questi mesi di mediazioni, trattative a distanza, Israele ha capito che Hamas ha sviluppato due modi di pensare: uno a Doha e l’altro a Gaza. L’ultima parola continua ad averla la leadership rimasta dentro alla Striscia. Sono stati i qatarini i primi a evidenziare queste differenze e  i movimenti tra una leadership e l’altra. Se oggi la proposta di accordo ha ricevuto un “no”, le cose potrebbero cambiare tra qualche settimane.

Al Cairo era presente Ismail Haniyeh che vive a Doha, Israele aveva promesso l’eliminazione di ogni leader del gruppo, ma ha ricevuto un lasciapassare per questo viaggio, in cui però non ha negoziato soltanto l’eventuale tregua dentro alla Striscia: Hamas era in Egitto anche per prepararsi al futuro. In queste settimane alcuni membri dell’organizzazione hanno rilasciato interviste in cui dichiaravano di volere la fine della guerra. Husam Badran ha detto al Wall Street Journal che Hamas punta alla costituzione di uno stato nei confini del 1967 e ad al Monitor un altro uomo di Hamas ha dichiarato prima la necessità di riconoscere lo stato di Israele, poi si è corretto dicendo che “la resistenza andrà avanti fino al ritorno”. Nello statuto di Hamas è stato inciso un obiettivo  che non lascia spazio a fraintendimenti: l’eliminazione di Israele attraverso il jihad.  Le dichiarazioni dei due funzionari sono in contrasto con lo statuto, ma al Cairo Hamas e i suoi leader erano per far politica, assicurarsi una continuità, istituzionalizzarsi attraverso Fatah.  Il dialogo tra Hamas e i funzionari dell’Autorità palestinese non si è mai interrotto, ma la differenza nelle dichiarazioni è sempre stata palese: Abu Mazen, il leader dell’Anp, ha sempre riconosciuto l’esistenza di Israele. Gli Stati Uniti stanno intensificando i rapporti con l’Anp, hanno detto apertamente che il disegno del dopo Gaza deve includere Abu Mazen, il leader che ha più di ottant’anni, la cui autorità è messa in discussione. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, a luglio c’era già stato un incontro in Egitto, a El Alamein, tra Haniyeh, Abu Mazen e il capo dell’intelligence  egiziana Abas Kamel per esaminare l’adesione di Hamas all’Organizzazione per la liberazione della Palestina, l’Olp di Arafat, che oggi fa capo ad Abu Mazen. In quell’occasione Abu Mazen disse a Haniyeh che Hamas avrebbe potuto far parte dell’Olp riconoscendo gli accordi firmati con Israele, quindi la soluzione dei due stati. Non era nelle intenzioni di Hamas, che però ora avrebbe ripreso i colloqui.  Haniyeh vorrebbe un nuovo incontro tra la leadership di Fatah, secondo Haaretz avrebbe chiesto agli egiziani di occuparsene anche cercando di includere Ziyad al Nakhalah, il leader del Jihad islamico, che era con lui al Cairo. Il gruppo terroristico pensa al dopo e ha individuato in Fatah la strada della sopravvivenza. Fatah è debole, Abu Mazen è debole, in tanti vogliono rimpiazzarlo, Hamas pensa di aver trovato una scorciatoia per  mantenere un controllo nella Striscia, ma non ha cambiato idea rispetto al suo statuto. 

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu insiste nel dire che non potrà essere l’Anp a governare Gaza. Ieri Netanyahu ha detto: “Dopo aver eliminato Hamas, userò il mio potere per assicurare che Gaza non  sarà mai più una minaccia per Israele, non sarà né Hamastan né Fatahstan”, quindi non sarà governata né da Hamas né da Fatah. Lo ripete da settimane, senza lasciarsi fermare neppure dai richiami americani, che non sono gli unici a pensare al dopo. Dentro la Striscia, l’esercito sta cercando gli uomini del gruppo, cerca in modo particolare Yahya Sinwar. Benny Gantz, ex ministro della Difesa che oggi fa parte del gabinetto di guerra nonostante sia un oppositore del premier, la scorsa settimana ha lanciato un avvertimento che oggi sembra particolarmente urgente: eliminare Hamas non vuol dire fermarsi a Sinwar, l’idea del gruppo è più ampia, va oltre lui. E sta lavorando per salvarsi e restare. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.