Foto Epa, via Ansa

le zone grigie dell'alleanza

Perché l'allargamento della Nato va concluso in fretta

Paola Peduzzi

Il Congresso prevede una “polizza assicurativa” per scongiurare il ritiro americano dall’Alleanza atlantica

Non è “nel nostro interesse” combattere contro i paesi della Nato, ha detto Vladimir Putin aggiungendo un “ma” significativo, che è sempre lo stesso dall’inizio, e riguarda la presunta aggressività dell’Alleanza atlantica nei confronti della Russia. Il “ma” riguarda in questo momento la Finlandia, con cui tutte le questioni territoriali erano state risolte nel secolo scorso, ha detto il presidente russo, ma ora che fa parte della Nato si sono creati nuovi “problemi” – intanto questo confine di mille e più chilometri tra la Nato e la Federazione russa, che prima dell’invasione di Putin in Ucraina non esisteva perché la Finlandia non faceva parte dell’Alleanza, è chiuso.

L’allargamento della Nato è uno degli effetti della guerra pretestuosa e violentissima che Mosca ha lanciato contro l’Ucraina meno digeribile per Putin. Non è un caso che l’unico paese dell’Unione europea che ancora non ha dato il via libera al completamento del progetto, che prevede l’ingresso nella Nato della Svezia, sia l’Ungheria, che si oppone anche al sostegno militare e finanziario dell’Ue a Kyiv.

L’altro membro della Nato che ancora non ha ratificato l’allargamento è la Turchia. Lunedì il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è andato a Budapest (ha regalato al premier ungherese Viktor Orbán un’auto elettrica prodotta in Turchia e Orbán gli ha regalato un cavallo) e ieri, di ritorno, ha detto: per dare il via libera all’adesione della Svezia, il Congresso americano deve approvare la commessa di 40 F-16 diretta in Turchia e il Canada deve togliere l’embargo alle armi alla Turchia; l’Ue non rispetterà le promesse di adesione fatte all’Ucraina e alla Moldavia come non le ha mantenute con Ankara (che iniziò a negoziare nel 2005). La ratifica dell’allargamento della Nato è per i due leader “un tecnicismo”, ma sono otto mesi che rimandano, promettono, rimandano di nuovo e anche se il sistema militare svedese è già ampiamente integrato nell’Alleanza – così come l’Ucraina è il paese che sa utilizzare al meglio le armi della Nato pur non essendone membro – è evidente che di tecnico, in questo tentennamento tattico, c’è ben poco: è tutta politica, alleanze, blocchi contrapposti e zone grigie che possono cambiare molte cose.

Il tempo che passa non è un elemento neutro in questo conflitto, come dimostrano gli ultimi mesi scanditi dal dibattito sulla stanchezza dell’occidente. Poi c’è il 2024 con le sue campagne elettorali in Europa e in America e la destabilizzazione che porteranno con sé. Il Congresso americano, che è un posto decisamente disfunzionale da quando è stato preso in ostaggio dal trumpismo, ha messo fortunatamente le mani avanti. Il Wall Street Journal, in un editoriale pubblicato ieri, ha sottolineato, con tono sollevato, un’azione “notevole” fatta la settimana scorsa dal Congresso che ha introdotto “una polizza assicurativa” contro “un presidente” che volesse ritirare l’America dalla Nato. Nella legge annuale per la Difesa approvata la settimana scorsa, è stata inclusa una clausola che prevede che il presidente si consulti con il Congresso prima di un eventuale ritiro, richiedendo i due terzi della maggioranza al Senato o una legge della Camera. E’ evidente che il presidente cui si fa riferimento è Donald Trump, che potrebbe essere rieletto nel 2024 e che già aveva minacciato il ritiro quando era alla Casa Bianca. Questa polizza – che è il frutto di un’iniziativa bipartisan, una rarità che tocca sottolineare – potrebbe non coprire tutti i danni che un secondo mandato di Trump potrebbe portare alla Nato, ma “è comunque utile per mostrare all’Europa che il sostegno americano agli alleati è forte” e riguarda tutti i partiti, scrive il quotidiano conservatore. E’ un messaggio importante perché ridimensiona anche quel che dice Putin, cioè che l’America non è un alleato credibile e, nel tempo, abbandona i suoi alleati.  

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi