Ucraina

Kyiv può vincere. Ecco il piano, i tempi e i calcoli per non regalare a Putin neppure il tempo

Micol Flammini

Perché la vittoria dell'Ucraina è la vittoria di tutti noi. C’entra la sicurezza. Il documento del ministero della Difesa estone

Tallinn, dalla nostra inviata. Un generale trentottenne, abituato a vivere in una delle capitali dell’Unione sovietica, tra balletti, ricevimenti e repressione, nel 1994 venne incaricato di organizzare il ritiro delle truppe russe  e lo smantellamento di alcune basi che si trovavano in Estonia. Aveva trascorso otto anni a Tallinn, aveva fatto una buona carriera dentro alla leadership dell’esercito, si era abituato a una vita ben lontana dal fronte e l’ultima mansione che gli era  stata affidata nell’ormai ex repubblica socialista sovietica, diventata indipendente già qualche anno prima, era anche piuttosto semplice. Avrebbe dovuto condurre i suoi uomini dalla base di Tondi, che si trovava fuori Tallinn, fino a Pskov, in Russia. I suoi superiori lo ritenevano  un soldato bravo a obbedire, uno “sluzhaka”, e di fatto, come gli era stato richiesto, salutò la sua vita di società estone e trasferì in modo non troppo disordinato tutto ciò che c’era da portare via. Diciotto anni dopo sarebbe stato nominato capo di stato maggiore delle  Forze armate  russe, avrebbe stabilito un rapporto di confidenza con il suo superiore che è l’attuale presidente russo, che quest’anno gli ha anche affidato la guida delle operazioni militari in Ucraina. L’ex trentottenne abituato alla bella vita di un generale a Tallinn è Valeri Gerasimov e anche oggi, come diciotto anni fa è uno “sluzhaka”, che però dirige la guerra della Russia, basandosi su delle tecniche vecchie, che sono le uniche applicabili in un conflitto scatenato da un’idea altrettanto vecchia: l’invasione. Le guerre di invasione si fanno così, e Mosca non ha cambiato i suoi metodi dalla Seconda guerra mondiale a oggi, non soltanto in memoria della vittoria contro il nazismo, ma anche perché è l’invasione a essere un concetto che pensavamo di aver superato. La Russia, Gerasimov, il ministro della Difesa Sergei Shoigu e Putin sono convinti che quella sia la strada verso l’invincibilità e potrebbe esserlo se all’Ucraina dovessero  venire a mancare gli aiuti e il sostegno degli alleati.

 

Il ministero della Difesa estone, dalla Tallinn in cui un tempo Gerasimov si sentiva tanto a suo agio, ha lavorato a un documento per delineare la strategia militare per far vincere l’Ucraina e sconfiggere la Russia. In Estonia, come nel resto dei paesi che condividono i confini con la Russia, è chiaro che se Kyiv perde, non è la sola a essere sconfitta, ma tutta la sicurezza europea ne esce in uno stato di sconquasso, dal quale possono venire fuori soltanto nuove guerre e nuove invasioni. Aiutare l’Ucraina ha sicuramente a che fare con i valori, la libertà, la democrazia, ma ha anche molto a che fare con la sicurezza di tutto il territorio europeo. E se alcune opinioni pubbliche sono forse insensibili ai primi argomenti, potrebbero esserlo molto meno riguardo al secondo. 

Se la Russia dovesse prevalere nei prossimi dodici, diciotto mesi, il lasso di tempo in cui stare in allerta  è anche collegato agli andamenti elettorali in occidente, si convincerebbe che tutta la nostra infrastruttura militare può essere sfidata, perché al Cremlino vedono questa guerra non come un attacco contro Kyiv, ma contro l’occidente. Una volta ottenuta una tregua o una vittoria, Mosca si prenderebbe del tempo per riorganizzarsi, potrebbero volerci cinque anni, e poi ripartirebbe. E’ vero che il tempo è a favore della Russia, ma lo è perché Putin parte dal presupposto che prima o poi l’Ucraina verrà abbandonata dagli alleati. Il punto, secondo la strategia estone, è proprio quello di trascinare Mosca in una guerra di attrito talmente faticosa da non potersela permettere: lunga, ma dolorosa, non uno stallo. Tallinn si dà tempo fino al 2026 e delinea la strada per non abbandonare Kyiv. 

Gli obiettivi di Mosca oggi sono: prolungare il conflitto, espanderlo, esasperare l’Ucraina, distruggere le sue infrastrutture. Sono gli stessi dello scorso anno, proprio perché, l’occidente, nonostante gli aiuti, non è finora riuscito a spingere il Cremlino a calcolare i costi e i benefici e ad arrivare alla conclusione che può perdere. Sono due i campi in cui la Russia può essere battuta: uno è quello di battaglia, l’altro è quello dei centri decisionali, è Bruxelles, è Washington, sono quei posti in cui vengono presi gli impegni nei confronti di Kyiv. Quello che succede tra Bruxelles e Washington, ritengono gli estoni che nell’interpretazione della mentalità russa sono maestri, modella lo sforzo russo sul campo di battaglia. Quanto più l’occidente appare timido quando non è in divisa, tanto più Mosca si convince di farcela. I russi osservano i centri decisionali e si comportano di conseguenza. La strategia militare per i prossimi anni dovrebbe seguire una strategia molto seria, serrata e coordinata con la diplomazia.

Per mettere l’Ucraina in assetto di vittoria i mezzi ci sono: il solo gruppo di Ramstein, per dire, ha un pil complessivo di 47 trilioni di euro, gli aiuti militari all’Ucraina fino a questo momento sono di 95 miliardi, lo 0,2 per cento del pil totale. I budget per la difesa di questi paesi, se sommati, sono tredici volte quello russo, è chiaro chi ha il vantaggio. Il 2024 sarà un anno fondamentale e le priorità da tenere a mente sono: continuare a rifornire Kyiv, addestrare i suoi soldati per farli passare dalla difesa all’offensiva e ledere le risorse russe. I calcoli a questo punto si fanno cinici: la Russia non soltanto ha armi e continua a produrne, ma ha anche uomini e può addestrare 130 mila truppe ogni sei mesi, un lusso che Kyiv non ha. Il sistema di addestramento  russo però può essere messo sotto pressione causando alla Russia un logoramento di  cinquantamila perdite tra i soldati ogni sei mesi. Mosca sarebbe così costretta ad aumentare il numero di truppe e non completare i cicli di addestramento. Per fare questo servono munizioni – “chi conserva la superiorità di fuoco mantiene l’iniziativa”, spiega la Difesa – e servono soldati ucraini ben addestrati, messi nelle condizioni di completare i cicli di addestramento, alzare il livello e le capacità di combattimento. Finora è stata data la priorità alla velocità dell’addestramento, perché a Kyiv servivano uomini, adesso bisognerebbe passare alla qualità: la media di addestramento è di cinque settimane, durante la Seconda guerra mondiale, parlando del conflitto di altri tempi in cui la Russia ha trascinato l’Ucraina, i soldati britannici venivano considerati idonei dopo venti.  

 

La capacità militare, conclude il rapporto, deve essere sostenuta dalla volontà politica e dall’appoggio economico e Tallinn, che già destina l’1 per cento del suo pil della Difesa a Kyiv, ha fatto i suoi calcoli: basterebbe che tutti gli alleati della Nato dessero lo 0,25 per cento all’assistenza militare dell’Ucraina, fornirebbe circa 120 miliardi di euro, e le risorse basterebbero a togliere a Mosca la certezza di avere il tempo come alleato. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.