editoriali

Trattare con i petrolieri

Redazione

Dopo tante polemiche su Dubai la Cop 28 ha prodotto un accordo storico

Alla fine di due settimane di negoziati, superati per intensità solo dalle polemiche, sono stati gli emiri arabi a mettere il cappello sul primo documento sul clima che invita esplicitamente ad abbandonare i combustibili fossili. Com’è ovvio per un accordo che deve fare sintesi degli interessi di quasi 200 paesi, anche il Global stocktake della Cop 28 di Dubai è un capolavoro di diplomazia, che a seconda dei punti di vista può apparire deludente o sorprendente. Quel che è certo è che neppure chi lo ritiene poco incisivo, come l’Alleanza dei piccoli stati insulari che riunisce i paesi più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici, si è opposto. Il passaggio più importante e meno scontato è che l’abbandono dei combustibili fossili (transitioning away) viene individuato tra gli otto punti attraverso cui ridurre le emissioni di gas serra per raggiungere lo zero netto entro il 2050. Il risultato diplomatico è storico e averlo raggiunto in un paese come gli Emirati Arabi dimostra che i pregiudizi che hanno accompagnato il vertice erano mal riposti: sabotare l’accordo non può essere un interesse dei padroni di casa.

Questo non vuol dire che i produttori di petrolio abbiano incautamente firmato il loro suicidio economico. Il diavolo, si sa, sta nei dettagli e transitioning away non è sinonimo di phase out: abbandonare, invece di eliminare, sposta di molto le responsabilità sui paesi consumatori più che su quelli produttori. Così come riconoscere un ruolo ai “combustibili transitori” per garantire la sicurezza energetica è un punto segnato dall’industria del gas. Nulla di cui scandalizzarsi. Un approccio pragmatico ha garantito un accordo realistico, forse il migliore possibile, che prevede anche di triplicare la capacità di energia rinnovabile al 2030. Tuttavia, nonostante la grande importanza che gli si attribuisce, il documento non contiene impegni vincolanti ma solo un invito ad agire. Ora che la diplomazia climatica ha fatto il suo, la vera differenza devono farla i governi e l’industria.

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