GUERRA IBRIDA

Sabotaggi incrociati tra Cina, Russia e Ucraina

Giulia Pompili

Kyiv colpisce per la prima volta l’amicizia senza limiti tra Putin e Xi facendo saltare la ferrovia. Pechino è molto probabilmente responsabile (o connivente) del danneggiamento del gasdotto nel Mar Baltico. Sempre più azioni di guerra ibrida alla vigilia dell'anno elettorale

L’altro ieri i Servizi di sicurezza ucraini hanno fatto saltare un pezzo della ferrovia che collega la Russia alla Cina con almeno quattro esplosioni che si sono verificate nella galleria di Severomuisk, sulla linea ferroviaria Bajkal-Amur nel tratto più vicino alla Mongolia. A confermare la notizia è stato un ufficiale dell’Sbu a Politico. Il sabotaggio dimostra la capacità dell’intelligence ucraina di effettuare azioni  anche a seimila chilometri di distanza dal confine con la Russia. Quel tratto della nota ferrovia sovietica  Bajkal-Amur è fondamentale per i rifornimenti che arrivano dall’estremo oriente alla Russia: “E’ l’unico collegamento ferroviario serio tra la Federazione russa e la Cina. E attualmente questa rotta, usata anche per le forniture militari, è paralizzata”, ha detto la fonte a Politico. Non ci sarebbero state vittime dopo l’esplosione dei quattro ordigni perché a essere colpito è stato un treno merci, e la Russia avrebbe aperto un’indagine per un “attacco terroristico”. 


E’ la prima volta che l’Ucraina colpisce direttamente – e materialmente – la linea di sussistenza che la Cina fornisce in modo informale alla Russia e alla guerra di Putin. Fino a poco tempo fa i vertici del governo di Kyiv parlavano in modo molto cauto della posizione ambigua di Pechino, probabilmente nella speranza di poter usare l’influenza economica e politica della Cina per fermare l’aggressione. Poi man mano qualcosa è cambiato, soprattutto dopo la telefonata di aprile tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il leader cinese Xi Jinping che non ha portato ad alcuna decisione politica. All’inizio di ottobre l’Agenzia nazionale ucraina per la prevenzione della corruzione ha ufficializzato l’inserimento di tre colossi dell’energia cinesi nella lista delle aziende che aiutano la Russia nella sua guerra d’invasione: la China National Offshore Oil Corporation (Cnooc), la China Petrochemical Corporation (Sinopec) e la China National Petroleum Corporation (Cnpc) sono state elencate come “sponsor internazionali della guerra”. In precedenza, Kyiv aveva etichettato così anche la China State Construction Engineering Corp., il colosso dell’ecommerce Alibaba e quello di telecomunicazioni Xiaomi. Il sabotaggio sulla linea sino-russa è anche un messaggio all’Unione europea: Bruxelles non ha ancora imposto sanzioni contro tutte le compagnie cinesi che sono accusate di aiutare direttamente la guerra di Putin, e che invece sono già sotto sanzioni americane. Secondo le stime, Pechino è responsabile del 70 per cento delle operazioni che permettono alla Russia di aggirare le sanzioni internazionali. Se ne parla da tempo, e secondo il South China Morning Post giovedì prossimo, all’Eu-China summit a Pechino, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell chiederanno “personalmente” a Xi Jinping di prendere provvedimenti contro quelle tredici aziende cinesi. Già a giugno i vertici di Pechino avevano assicurato l’Ue di maggiori controlli contro le aziende colpevoli delle violazioni. Ma il vertice tra Ue e Cina rischia di essere ancora più complicato. 

 


Ieri durante un incontro con i giornalisti a Bruxelles, il ministro per gli Affari europei finlandese, Anders Adlercreutz, ha parlato dell’indagine che stanno conducendo Finlandia ed Estonia sui danneggiamenti del Balticconnector, il gasdotto di 77 chilometri che collega i due paesi nel Mar Baltico, e di due cavi di telecomunicazione che collegano l’Estonia alla Finlandia e alla Svezia avvenuti tra il 7 e l’8 ottobre scorso. Secondo le prime rilevazioni, il danneggiamento l’avrebbe condotto la nave portacontainer cinese Newnew Polar Bear, che avrebbe trascinato la sua àncora sul fondale del Mar Baltico tranciando il gasdotto e i cavi. Adlercreutz ha detto che “è difficile credere che il sabotaggio sia stato accidentale, o che sia avvenuto all’insaputa di Pechino”. 


L’altro ieri Ben Nimmo, responsabile dell’intelligence globale di Meta, il colosso dei social americano, durante un briefing sulla sicurezza in vista dell’anno elettorale che ci aspetta, ha fatto sapere che la compagnia ha rimosso una rete di più di 4.700 account falsi e propagatori di fake news con sede in Cina. Gli account, secondo Nimmo, rubavano quasi tutto da X (l’ex Twitter) e diffondevano soprattutto disinformazione sulle elezioni americane e sugli aiuti all’Ucraina. Meta non ha potuto stabilire una connessione diretta con il governo di Pechino della rete, ma l’operazione è in linea con la propaganda cinese che punta a polarizzare il prossimo anno elettorale – usando spesso anche la questione ucraina. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.