Javier Milei (LaPresse)

Saverio ma giusto

Javier Milei conferma che la destra  mondiale ha un problema col balsamo

Saverio Raimondo

Il presidente argentino è solo l'ultimo caso, dopo Donald Trump e i guai causati da Giambruno (senza dimenticare Berlusconi). Urge che la destra mondiale si guardi allo specchio, e inorridita faccia i conti con il proprio parrucchiere

Esiste una questione a destra ormai ineludibile, che è urgente affrontare e prima ancora analizzare con serietà, onde evitare una pericolosa deriva; sto parlando ovviamente della questione tricologica. La vittoria di Javier Milei alle ultime elezioni argentine ha confermato quella che era ormai da tempo un’evidenza sotto gli occhi di tutti, ma altrettanto evidentemente sotto le forbici di nessuno: i leader di destra (populisti, neoliberisti, ultraliberisti, sovranisti, chiamiamoli come ci pare) hanno un problema con le loro chiome. Mi si dirà, “stai a guardare il capello”; il fatto è che è impossibile non vederlo.

Milei, detto anche “il Parrucca”, ha un’acconciatura arruffata e un po’ effetto bagnato (ma di sudore) che a tratti sembra quasi sollevata dalla testa, come fosse una nube minacciosa che ne avvolge il capo o un gigantesco riporto che parte però non si capisce bene da dove, forse dai peli delle orecchie o del naso; un po’ Mal dei Primitives, ma dopo aver infilato due dita bagnate dentro una presa elettrica. Non fosse per il colore castano e non arancione catarifrangente, la pettinatura di Milei ricorda moltissimo quella dell’altrettanto “loco” Donald Trump, i cui capelli a nido di passero positivo all’alcol test sono ancora oggi uno dei grandi temi piliferi della contemporaneità.

Anche in Italia, il ciuffo bovino (nel senso che sembrava leccato – più che laccato – da una mucca) di Andrea Giambruno è diventato l’emblema della mascolinità tossica, delle molestie sul lavoro, ma anche dell’ipocrisia e della fragilità di Giorgia Meloni; tanto che il suo taglio, all’indomani dello scandalo, ha avuto la stessa portata simbolica di un rimpasto di governo. E prima ancora, come non risalire alla radice del problema, anzi, al bulbo pilifero della questione, cioè ai capelli di Silvio Berlusconi  – trapiantati, disegnati – primo scalpo a segnalare che a destra più che la caduta del Muro ha inciso la caduta dei capelli. E pensare che un tempo il problema dei capelli, anzi, dei “capelloni”, era una questione di sinistra. In quei capelli lunghi anche per gli uomini, indomiti e selvaggi, boccolosi se non addirittura a treccine (o rasta!), la destra ci vedeva l’anarchia, l’inaffidabilità, l’immaturità della controparte politica; spesso tacciata anche di scarsa igiene personale. E la risposta reazionaria e conservatrice furono le rigide righe di lato, i capelli a zero, “la boccia”. Comunque “teste a posto”, radicalmente alternative alle “teste calde” o ai “grilli per la testa”.

Ma adesso cos’è successo? Ok il post-ideologico e la fine delle grandi narrazioni, ma che c’entra il barbiere? Perché la destra populista ha paura del pettine? Restando in Italia, più della deriva fascista mi preoccupa quella del balsamo; più dell’uso dei manganelli, quello dei bigodini. Urge che la destra mondiale si guardi allo specchio, e inorridita (non può essere altrimenti, di fronte a certi peli in testa) faccia i conti con il proprio parrucchiere. Per agevolare, li ho fatti io: taglio e messa in piega per un uomo viene dai 15 ai 40 euro; un prezzo sostenibilissimo persino con il debito pubblico italiano o con l’iperinflazione e il crollo della moneta argentina. Forza e coraggio, leader di destra: uno shampoo, qualche bella sforbiciata, una botta di phon, e se non altro sarete presentabili. 

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