Manifestazione pro-palestinese per l'esclusione di Israele dall'Eurovision a Malmo, Svezia 

Golan a Malmo

L'odissea israeliana a Eurovision. Fra Shin Bet, minacce, clausura e censura

Giulio Meotti

La visita segreta dei servizi per controllare la sicurezza della delegazione israeliana. Proteste e minacce di morte alla cantante Eden Golan, mentre si censura il tributo alle vittime dell’attacco terroristico di Hamas. E gli ebrei lasciano la capitale svedese: previsto lo spopolamento entro dieci anni

Il capo del servizio segreto israeliano Shin Bet, Ronen Bar, la scorsa settimana ha compiuto una visita segreta a Malmö, in Svezia, per controllare la sicurezza della delegazione israeliana impegnata nell’Eurovision. Dopo il 7 ottobre, Bar aveva lasciato Israele soltanto per partecipare ai colloqui per il rilascio degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas al Cairo e a Doha. La settimana scorsa, Israele ha anche innalzato il livello di allarme per i suoi cittadini che intendano andare a Malmö per l’Eurovision. La mattina del 7 ottobre, le strade di Malmö hanno celebrato il massacro. C’è chi la chiama “Ramallalmo”. Ieri la nave della ong Ship to Gaza ha ormeggiato nel porto di Malmö alla vigilia della partecipazione di Israele all’Eurovision Song Contest. Trentamila manifestanti sono arrivati per protestare contro la partecipazione della cantante israeliana Eden Golan, che ha già ricevuto una raffica di minacce di morte. La polizia svedese ha chiesto rinforzi alle vicine Danimarca e Norvegia. In Belgio, due ministri avevano chiesto che Israele venisse trattato come la Russia, bandita dal 2022 in seguito all’invasione della Ucraina. Eden Golan, a cui lo Shin Bet ha chiesto di non lasciare mai l’hotel prima e dopo le esibizioni musicali, ha dovuto cambiare anche la canzone in gara.

  
Si chiamava “October Rain”, chiaro riferimento al 7 ottobre. Via il tributo alle vittime dell’attacco terroristico di Hamas, compresi i quasi quattrocento giovani assassinati nel festival musicale Nova. “October Rain” è stata respinta dagli organizzatori del concorso, la European Broadcasting Union, per “motivi politici” (ma il cantante svedese Eric Saade si è esibito con una kefiah arafattiana al collo). La rete televisiva statale israeliana Kan, che ha fornito la canzone, ha detto che preferiva che Eden abbandonasse la competizione piuttosto che cambiare il testo. È stato solo dopo l’intervento del presidente israeliano Isaac Herzog, che ha chiesto i “necessari aggiustamenti”, che la situazione si è placata. 

 
“Hurricane”, questo il nuovo titolo, ora racconta la storia di una donna che emerge da una crisi personale. La “pace” è salva. Nel 2016, la canzone vincitrice dell’Ucraina, “1944”, denunciava la deportazione della minoranza etnica tatara dalla Crimea da parte di Stalin. Mosca all’epoca si lamentò dicendo che la canzone era “troppo politica”, ma l’Eurovision lo permise comunque. Con Israele, doppio standard. 

 
Israele ha già partecipato due volte all’Eurovision Song Contest a Malmö. La prima fu nel 1992, con “It’s Just Sport” eseguita da Dafna Dekel. Allora le caratteristiche della città erano completamente diverse. “Ricordo che quando stavo partendo per Malmö, mi sono messo un tefillin e mi hanno dato un dollaro per darlo a un povero, ma non siamo riusciti a trovare poveri a Malmö”, ricorda Kobi Oshrat, il compositore della canzone e direttore d’orchestra. “Non c’era alcuna questione musulmana. L’atmosfera era meravigliosa. Non c’era personale di sicurezza. Andavamo in giro liberamente”. 

 
La volta successiva fu nel 2013, con la canzone israeliana “Rak Bishvilo” cantata da Moran Mazor. E Malmö era già completamente diversa. “Eravamo accompagnati da almeno cinque membri dello Shin Bet e da altri trenta poliziotti locali, non potevamo muoverci liberamente”, ricorda Alon Amir, che allora era il portavoce della delegazione. Il punto di svolta, per quanto riguarda il rapporto di Malmö con gli ebrei e Israele, è stato alla Coppa Davis di Malmö del 2009, alla quale ha partecipato anche Israele. Il timore di disordini ha spinto le autorità a decidere di chiudere la partita al pubblico. 

 
E se Eden Golan tra qualche giorno tornerà in Israele, gli ebrei di Malmö rientreranno nel loro “bunker”, come chiamano l’edificio al Kamrergatan 11. La facciata è rivestita con lastre di metallo. Le finestre sono piccole come feritoie, le telecamere puntano sull’ingresso. Premendo il pulsante si attiva l’intercom: “Benvenuto nella comunità ebraica di Malmö”. Blocchi stradali sono eretti attorno alla sinagoga. Lo scopo è impedire ai veicoli di avvicinarsi. Nella scuola materna, i bambini giocano dietro a un vetro antiproiettile. 
 “Gli ebrei lasciano Malmö”, scrive il quotidiano Nyheter Idag. Erano tremila, oggi meno di cinquecento. La congregazione ebraica fu fondata nel 1871 e ora così tanti ebrei vogliono lasciare la città che “non ci sarà una popolazione ebraica a Malmö entro dieci anni”. 
 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.