in russia

Il 9 maggio a Mosca non è più un appuntamento internazionale, ma un affare tra Putin e i russi

Micol Flammini

Sulla Piazza Rossa con un solo carro armato il capo del Cremlino alterna minacce e vittimismo. La sfilata militare per ricordare la vittoria nella Seconda guerra mondiale non è un messaggio al mondo, ma ai russi. Chi c'era, chi non c'era e i regali che non sono arrivati

Nevicava sull’esercito russo rimasto a Mosca per marciare davanti agli occhi del presidente Vladimir Putin. Nevicava sull’unico carro armato presente alla parata organizzata per la giornata della vittoria. Nevicava sugli spalti su cui erano seduti i veterani, qualche leader internazionale e sull’arrivo di Sergei Shoigu, il ministro della Difesa che con il suo giro per la Piazza Rossa dà sempre l’avvio alle celebrazioni per ricordare che la Germania nazista è stata sconfitta dall’Unione sovietica. Il 9 maggio non è più una sfilata per mostrare al mondo di cosa è fatto l’esercito russo, Vladimir Putin utilizzava le celebrazioni della fine della Seconda guerra mondiale per far sfilare il suo arsenale sotto gli occhi del mondo.

 

Ma ora gli uomini e i mezzi servono  al fronte e la parata è diventata sempre più un appuntamento del capo del Cremlino per parlare ai russi, per dare messaggi interni e da due anni a questa parte ripete sempre la stessa cosa: ci difenderemo oggi come ci siamo difesi allora. Il vittimismo si accompagna alla minaccia nei discorsi di Putin e ieri ha ricordato che Mosca “non permetterà a nessuno di intimidirla. Le nostre forze strategiche sono sempre pronte a combattere” (minaccia). Ha accusato l’occidente di aver dimenticato le lezioni della Seconda guerra mondiale, quando “tutta l’Europa combatteva unita” (vittimismo). Ha ripetuto più volte la parola “nazismo”, che nel lessico russo vuol dire tutt’altro: il nazista è il traditore da quando Stalin, che non volle credere agli avvertimenti delle sue spie, si ritrovò i soldati di  Hitler, che considerava un alleato,  nei confini dell’Unione sovietica. Nel suo discorso il capo del Cremlino ha lodato “il coraggio del popolo cinese” che si è opposto all’impero giapponese, e così ha pagato un tributo al suo alleato più importante. “Il revanscismo, l’abuso della storia e il tentativo di giustificare gli attuali seguaci nazisti fanno parte di una politica generale delle élite occidentali, volta ad alimentare nuovi conflitti regionali”: Putin ha un’ossessione per la storia, la prende e la stravolge a uso e consumo delle sue mire, la pone a giustificazione di ogni sua minaccia e anche del vittimismo. 

 

I leader al suo fianco non erano molti, c’erano i rimasugli della Csto, l’Organizzazione del trattato collettivo di cui fanno parte Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan e Armenia. Il premier armeno Nikol Pashinyan non era presente alla parata ma il giorno prima aveva partecipato a una riunione al Cremlino: vorrebbe allontanarsi da Mosca e dalla protezione che non gli ha mai dato durante gli attacchi dell’Azerbaigian. 

 

E’ stata la terza parata di guerra. La prima ci fu dopo che le truppe russe si ritirarono dalla regione di Kyiv che non erano riuscite a conquistare, lasciandosi dietro le torture di Bucha e Irpin. La seconda si svolse dopo l’attacco di droni ucraini che caparbi erano arrivati a colpire la cupola del Cremlino, mostrando quanto fossero nude le difese di Mosca a pochi giorni dall’evento nella Piazza Rossa. Quest’anno l’esercito russo rosicchia il territorio ucraino più che mai, non tanto per la sua capacità, quanto per il ritardo degli aiuti occidentali. Il Cremlino sarebbe voluto arrivare al 9 maggio con la presa della cittadina ucraina di Chasiv Yar o con l’uccisioni del presidente Zelensky o del capo dell’intelligence militare Budanov, per cui aveva coinvolto due alti ufficiali dei servizi segreti ucraini. Chasiv Yar è assediata ma resiste, il piano contro Zelensky e Budanov è stato scoperto.

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.