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da kyiv

Michel ci spiega le “difficoltà politiche” dell'ingresso dell'Ucraina nell'Ue

David Carretta

Abbiamo stupito il mondo, e anche noi stessi, con l’unità europea, ci dice il presidente del Consiglio europeo. Ma l'adesione dell’Ucraina “rimane difficile”. Come evitare una “vittoria extra” di Vladimir Putin

Kyiv. L’Unione europea rischia di concedere una “vittoria extra” alla Russia di Vladimir Putin, se i capi di stato e di governo non daranno il via libera ai negoziati di adesione per l’Ucraina e la Moldavia al Consiglio europeo di dicembre, ha avvertito ieri il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Nel processo di allargamento “velocità e unità sono una questione di sopravvivenza e di ritorno alla stabilità europea”, gli ha fatto eco la presidente moldava, Maia Sandu. Entrambi hanno usato un linguaggio poco diplomatico con Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo, in visita a Kyiv per il decennale dall’inizio della Rivoluzione della dignità di Maidan, ma anche in missione per gestire le aspettative di ucraini e moldavi di fronte al rischio di fallimento a dicembre. 

“Sono a Kyiv per esprimere forte sostegno politico a nome dell’Ue, cosa che è importante nell’attuale contesto geopolitico”, dice Michel al Foglio. Ma il Consiglio europeo di dicembre sarà “difficile”. Non vanno “sottovalutate le difficoltà politiche”. Michel non può dirlo, ma l’ostacolo principale per un effettivo sostegno politico, finanziario e militare dell’Ue all’Ucraina è il premier ungherese, Viktor Orbán.

In conferenza stampa con Zelensky e Sandu, Michel ha promesso di fare “tutto il possibile per convincere i miei ventisette colleghi che è necessaria una decisione positiva a dicembre” per l’Ucraina e la Moldavia. “E’ un messaggio agli ucraini e ai moldavi che siamo affidabili”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo. Ed è “un messaggio al Cremlino”. Ma, in una conversazione con il Foglio e altri media sul treno che lo ha portato a Kyiv, Michel ha riconosciuto che sarà necessario “lavorare duramente per arrivare a una posizione unitaria nel Consiglio europeo. In passato abbiamo sorpreso il mondo, e a volte noi stessi, con la nostra unità sull’Ucraina. Ma rimane difficile”.

L’Ungheria non viene mai menzionata, ma è sullo sfondo. Orbán sta bloccando una tranche da 500 milioni di euro di aiuti militari e minaccia il veto sulla proposta della Commissione di 50 miliardi di euro di aiuti finanziari. Il premier ungherese ha già detto che si opporrà all’apertura dei negoziati di adesione per l’Ucraina perché, a suo avviso, non ha rispettato tutte le condizioni poste dall’Ue. La colpa è anche del rapporto presentato dalla Commissione di Ursula von der Leyen, che ha raccomandato l’apertura dei negoziati, ma a condizione che sia completata una serie di riforme entro marzo. “Il rapporto pubblicato dalla Commissione non è un rapporto bianco o nero”, dice Michel, sottolineando che sarà utilizzato da alcuni paesi “prudenti sull’allargamento”. Quando nel giugno 2022 è stata presa la decisione di concedere lo status di paese candidato “fu un passo molto importante, ma sapevamo che era solo un primo passo e che altre sfide sarebbero arrivate sul nostro tavolo, in particolare quella di aprire i negoziati di adesione”. 

 

“Non mi aspetto un risultato scontato. Ma siamo un paese in guerra”, ha ricordato Zelensky in conferenza stampa. Mantenere lo slancio sul percorso europeo è indispensabile in questa fase difficile della guerra. Una decisione positiva “può aiutare l’Ucraina a credere che c’è giustizia e che quando si dice che gli ucraini si battono per difendere i valori europei non sono solo parole”, ha detto Zelensky. Per l’Ucraina e per la sicurezza dell’Europa, al Consiglio europeo di dicembre “un ‘no’ non è un’opzione”, spiega al Foglio una fonte del governo ucraino: “Il 15 dicembre si giocheranno le sorti dell’Europa, perché le decisioni che saranno prese dai leader dell’Ue influenzeranno direttamente il Congresso americano e il G7”. Tra le righe, Zelensky ha anche lasciato intendere che l’Ue rischia di tradire la Rivoluzione della dignità iniziata nel 2013, “è stato allora che è diventato chiaro che l’Ue non è solo istituzioni, ma è unità per difendere la democrazia”, ha detto il presidente ucraino: “Ogni paese europeo la cui libertà è minacciata deve battersi per l’unità europea e atlantica”. In questi dieci anni “abbiamo imparato a essere un vero paese europeo, non solo che difende la sua gente, ma che cambia e si riforma”, ha sottolineato Zelensky. 

In effetti è dal Maidan che è cominciato tutto. Viktor Yanukovich, l’allora presidente pro Russia, aveva appena annunciato che non avrebbe firmato l’accordo di associazione con l’Ue, piccolo passo verso l’Europa, ma importantissimo per la popolazione ucraina. Yanukovich aveva preferito un’unione doganale con la Russia di Putin. Qualche centinaio di manifestanti nella notte tra il 21 e il 22 novembre si erano riuniti a Maidan con una decina di bandiere ucraine e bandiere europee. In poche ore duemila ucraini avevano sfidato per la prima volta il freddo per chiedere di iniziare il lungo cammino dell’Ucraina per riunirsi alla famiglia europea. Nei giorni successivi le migliaia erano diventate centinaia di migliaia di manifestanti, a volte un milione e oltre, accampati nella piazza della rivoluzione che ha preso il nome di EuroMaidan. La repressione e l’uccisione da parte dei cecchini di un centinaio di persone non li hanno fermati, fino alla fuga di Yanukovich in Russia, alla sua destituzione da parte della Rada, al governo transitorio e alle nuove elezioni che hanno cambiato per sempre l’Ucraina. Proprio lì trova origine la fase attuale della guerra di aggressione di Putin, quella lanciata senza giustificazione e su vasta scala il 24 febbraio del 2022 e che sta entrando nel suo ventiduesimo mese. Proprio lì trova origine anche la prima fase della guerra, l’annessione della Crimea con gli “omini verdi” e le finte repubbliche popolari del Donbas. Perché la guerra di Putin in realtà dura da dieci anni. E’ quella contro un popolo che vuole libertà e democrazia, che ha resistito per due volte all’invasore che ne nega la sua esistenza, e che vuole essere ucraino, europeo, occidentale. Dieci anni fa “gli ucraini hanno detto chiaramente che sono europei” e “hanno lanciato il paese verso il percorso europeo”, ha detto Michel. Se non riusciranno a trovare un accordo a dicembre sui negoziati di adesione, sugli aiuti finanziari e sul sostegno militare, Putin avrà la sua “vittoria extra”.