A sinistra

I ribelli di Starmer e quelli di Biden

Paola Peduzzi

Ai Comuni inglesi si è consumata la più grande ribellione al leader del Labour sul cessate il fuoco a Gaza. Le ragioni della rivolta, la spaccatura generazionale e le differenze con l'America

Ai Comuni inglesi si è consumata la più grande ribellione alla leadership del laburista Keir Starmer. Si votava un emendamento al programma del governo di Rishi Sunak enunciato da re Carlo nel suo discorso di rito a Westminster: era un’iniziativa proposta dall’Snp, il partito al governo in Scozia, e chiedeva di  porre fine “alla punizione collettiva del popolo palestinese” chiedendo “a tutti i partiti di accordarsi su un cessate il fuoco immediato”. Cinquantasei parlamentari laburisti hanno votato a favore dell’emendamento, contraddicendo la linea del partito – che è la linea di Starmer – contraria al cessate il fuoco (l’emendamento non è comunque passato).

Nel tentativo di evitare la collisione interna, Starmer aveva presentato un suo emendamento: Israele ha il diritto di difendersi “dall’orrendo attacco terroristico” del 7 ottobre, diceva il testo che  chiedeva la liberazione degli ostaggi ma anche pause umanitarie più lunghe che consentano l’ingresso degli aiuti che sono “un passo necessario per ottenere una cessazione duratura dei combattimenti il prima possibile”.  Anche questo emendamento è stato bocciato, ma 160 laburisti lo hanno sostenuto (in tutto i  parlamentari del Labour sono 198).

Tra i ribelli ci sono ministri del governo ombra e frontbencher (quelli che sono seduti davanti ai Comuni e che sono una specie di portavoce del partito di riferimento), cioè molte persone riconoscibili del Labour –  che si sono dimessi dai loro ruoli. Jess Phillips, una delle laburiste più riconoscibili e dinamiche del Parlamento, si è dimessa da ministro ombra per la Violenza domestica: “L’azione militare in corso – ha detto – non fa altro che mettere a rischio la speranza di pace e sicurezza per chiunque nella regione ora e in futuro”. Soprattutto la Phillips ha detto di aver votato con “la mia circoscrizione, la mia testa e il mio cuore”.

La sua circoscrizione è la parte est di Birmingham, dove il 35 per cento degli abitanti è musulmano e ieri ha commentato con grande sollievo le dimissioni della loro rappresentante. La quale pone una questione di coscienza ma anche di strategia politica: il Labour di Starmer ha restaurato la discontinuità ideologica che c’era stata durante la leadership di Jeremy Corbyn (che non considera Hamas un gruppo terroristico, così come non considera dittatori Vladimir Putin e Bashar el Assad) ma ha anche naturalmente avviato strategie classiche di mobilitazione elettorale che si basano sul voto giovanile e sul territorio. Nel dire che vota in Parlamento tenendo a mente i suoi elettori, Phillips dice a Starmer: non si può lavorare sui territori e poi tradire le loro aspettative.

Sul voto giovanile va persino peggio: continua a circolare un video molto ispirato che Starmer ha pubblicato il 10 ottobre scorso per parlare ai giovani e alle politiche che ha intenzione di attuare per loro se dovesse diventare primo ministro alle elezioni dell’anno prossimo – ora tantissimi glielo rinfacciano. C’è una spaccatura generazionale sul cessate il fuoco e in generale sul sostegno a Israele molto evidente: gli inglesi non la stanno ancora misurando in modo completo anche se i sondaggi registrano un calo della popolarità del Labour (che da mesi stacca i Tory di parecchi punti). La misurano gli americani e il Partito democratico, che ha molti contatti con i fratelli inglesi, è molto preoccupato del fatto che questo possa mettere seriamente in pericolo il secondo mandato di Joe Biden.

Starmer viene criticato dalle piazze e dai suoi deputati: non dovresti fare come Emmanuel Macron, il tuo amico francese che il cessate il fuoco lo ha chiesto?, gli dicono quelli che hanno festeggiato il suo tour europeo-canadese di inizio autunno con cui si era posizionato come interlocutore privilegiato del Regno Unito che verrà. Tutte le sinistre occidentali sono attraversate dalla stessa frattura e dalle stesse paure; Starmer questa settimana ha avuto una ragione (e un argomento) in più per difendere la sua linea moderata: il premier Sunak ha nominato come ministro degli Esteri David Cameron, l’ex primo ministro che è ricordato soltanto per aver introdotto e perso il referendum sulla Brexit (lui era contrario al divorzio dall’Europa) ma che in realtà aveva trasformato in senso centrista e liberale il Partito conservatore. Il suo ritorno vuol dire: ci combatteremo al centro (è una sintesi, in realtà vuol dire anche molte altre cose ben più problematiche e complesse soprattutto per i Tory) e quindi Starmer deve stare lì, a conquistare il voto moderato. A molta della sua base e a parecchi parlamentari l’obiezione al cessate il fuoco non pare un’azione moderata, ma molti altri in realtà cercano di sminuire la frattura: si vota secondo coscienza su Gaza, ma questo non vuol dire che il partito si stia sfaldando.

Questa è per ora la grande differenza tra la sinistra inglese e quella americana: la rivista di sinistra New Statesman titola un articolo dicendo che la rivolta a Starmer non è grave come può sembrare; Susan Gassler sul New Yorker si chiede se i liberal furiosi contro Biden hanno calcolato il fatto che a goderne non saranno i palestinesi a Gaza, ma Donald Trump.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi