(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

Il destino di Biden, da Gaza a Kyiv. E' il realismo politico il suo puntino di luce nel buio

Giuliano Ferrara

La sfida del presidente americano: fare di un argine provvisorio nella Striscia e in Ucraina una vittoria politica. Ma la strada è ancora molto lunga

Odio e politica da Gaza a Kyiv. La questione non si sbroglia con le parole, le formule, le chiacchiere. Gli ebrei di Israele e del mondo assediati dal terrorismo islamista su tutti i fronti, e vittime di un pogrom con risonanze ultrasecolari, e una nazione europea, guidata da un eroe per caso, da un ebreo, insidiata dall’imperialismo asiatista della Russia (purtroppo) eterna. Siamo evidentemente nei pasticci, nell’oscurità di una peste nera, con la possibilità di un allargamento regionale e internazionale dello stato belligerante. Il conto pietoso dei danni umani e morali è indicibile, le guerre in corso non sono scaramucce antiterrorismo o episodi di una semplice resistenza nazionale, sono linee di divisione che valgono fin d’ora per generazioni presenti passate e future di donne, di uomini, vecchi, giovani, bambini, e i morti piangono i loro morti e i vivi uccidono, chi per aggredire e sventrare il nemico assoluto, chi per difendersi e contrattaccare.

 

Occorre domandarsi in questo quadro a quali risorse politiche ci si possa aggrappare per ridare, se non un ordine mondiale al nostro tempo, almeno un riferimento razionale alla possibilità di un rinvio, di un argine provvisorio, di un compromesso. Non si vede una vera luce nella notte, ma si distinguono segni opachi di movimento. Quando Netanyahu dice che la sicurezza a Gaza per un tempo indefinito toccherà a Israele garantirla, che cosa significa? Quando Zelensky dice che non è tempo di elezioni in Ucraina e che il peso di limitati acquisti della controffensiva militare contro i russi si fa sentire, che cosa significa? Incombono le elezioni presidenziali in America, il paese che ancora ha, se non più il bandolo della matassa, qualche filo importante da dipanare. I repubblicani trascinati nel fango politico dal loro capo di minoranza, ma una minoranza coesa e rissosa imperniata sul complottismo profetico e il sentimento del rancore sociale più che sulla razionalità, puntano a vincere con la rassicurazione della menzogna e del disonore: con noi, con lui, fine dello scenario di guerra. I democratici sono divisi, anche la loro identità solidale con Israele, ancora fortissima, è incrinata dalla rivolta nichilista delle coscienze woke e della colonial culture nei campus pro Hamas (il saggio di Sebag Montefiore qui lunedì diceva tutto quel che c’è da dire).

 

E Biden, con questa strana Amministrazione sorvegliata da un superpolitico vegliardo e composta di valentuomini alla Blinken, alla Austin, alla Burns, che potrà fare a contrasto, visto che nemmeno i dati miracolosi sull’economia gli consentono margini sufficienti di manovra per continuare a tenere in mano il timone di un sistema di alleanze tra le democrazie che una vittoria di Trump tenderebbe a demolire? C’è chi dice. Deve resistere fino alla fine della guerra contro Hamas, contenere duttilmente la campagna umanitaria che spesso è una variante dell’avversione verso Israele, prendere le misure anche dell’Iran per evitare l’allargamento della crisi, rinsaldare un patto che a sorpresa non è bruciato dagli eventi con gli arabi cosiddetti moderati, risolvere con il Congresso la storia degli aiuti all’Ucraina, e in fretta, e poi contare sulla successione a Netanyahu e a Zelensky allo scopo di stabilire da Gaza a Kyiv le linee di uno stallo, appunto, di un rinvio, di un argine provvisorio che intanto venga percepito come una sua vittoria politica e autorizzi l’elettorato americano a ridargli la fiducia indispensabile al progetto e alla tenuta stabile di un occidente in bilico. Il realismo politico come puntino di luce nel buio.

E’ possibile che le cose stiano più o meno così, con varianti nascoste, magari. E che la saggia vecchiaia di un superprofessionista di provincia fattosi presidente possa produrre, incassata la vittoria su Hamas e il fermo immagine sul fronte ucraino, una a oggi miracolosa sospensione della legge di guerra. I viaggi diplomatici di Blinken sulla via incerta dei “due popoli-due stati”, con l’appoggio fragile alla fragile Autorità nazionale palestinese, e il richiamo a tregua e aiuti, diverso dall’obiettivo nullista e catastrofico del cessate il fuoco, tutto questo, accompagnato dai segnali di fumo del Cremlino sul possibile negoziato e dall’interesse cinese a compattare il fronte della resistenza cosiddetto senza strafare, anche per ragioni forti dell’economia mondiale, parla di una simile prospettiva. Ma quanto dice Netanyahu sulla sicurezza a Gaza, indisponibile per un tempo indefinito a qualunque formula di compromesso, e quanto ostenta Zelensky, o quanto nasconde il suo conflitto con lo stato maggiore, sono pietre d’inciampo a oggi abbastanza decisive. E che Dio ci fornisca una seria conclusione giudiziaria, non controproducente, della grottesca vicenda di Donald Trump. Fra odio e politica, da Gaza a Kiyv, la distanza è ancora lunga.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.