il caso

Perché due fregate italiane sono arrivate nel Mediterraneo orientale

Giulia Pompili

Le missioni umanitarie e quelle di deterrenza (per lo più americane) nel "mare nostrum" sempre più affollato. E la Russia prova ad approfittarne (grazie alla Libia di Haftar)

La fregata missilistica della Marina militare italiana Virginio Fasan e la fregata Carlo Margottini sono arrivate ieri nell’area del Mediterraneo orientale di fronte a Israele, Gaza e Libano. Le due fregate si sono unite al pattugliatore Paolo Thaon di Revel, arrivato a Cipro già una decina di giorni fa, e presto verranno raggiunti da un Lpd, una nave anfibia che, nel caso in cui i porti fossero impraticabili, può arrivare direttamente sulla spiaggia. Il dispiegamento di unità militari italiane nell’area, però, non ha una funzione di deterrenza, spiegano al Foglio fonti della Difesa. O almeno non solo: le due fregate in quell’area sono “pronte per evacuare connazionali o altro personale, per portare aiuti umanitari e per pattugliare un’area” dove al momento “sono presenti gruppi navali di Germania, Francia, Russia e America”. La Difesa italiana porta anche materiale umanitario alla popolazione palestinese, ma “ci stiamo preparando a tutte le ipotesi”, dice la fonte.

 


E non a caso venerdì scorso le due fregate italiane, Fasan e Margottini, hanno partecipato a un’esercitazione militare navale di tre giorni nel Mediterraneo con la Marina americana, insieme con due gruppi da battaglia da portaerei tra i più potenti della Difesa statunitense: il Dwight D. Eisenhower e il Gerald R. Ford. Le esercitazioni avevano l’obiettivo di preparare le unità a una risposta coordinata e integrata in caso di crisi, per esempio in caso di attacchi di missili balistici, e per mettere in sicurezza le rotte marittime. Il Mediterraneo è diventato un posto particolarmente affollato, dice la fonte della Difesa al Foglio. L’altro ieri Bloomberg ha scritto che il presidente russo Vladimir Putin e il comandante della Libia orientale, Kalifa Haftar, si sarebbero accordati per permettere alla Russia di aumentare la presenza militare nel paese anche con una base navale sulle coste libiche. Un problema centrale per l’Italia, e infatti oggi il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a Tokyo per l’ultima riunione di presidenza giapponese del G7, ribadirà che il Mediterraneo sarà al centro della presidenza che l’Italia assume il prossimo anno. 

 


Ma nel frattempo è l’America a condurre la strategia della deterrenza. Alla fine delle esercitazioni nel Mediterraneo, l’Eisenhower ha attraversato il canale di Suez e adesso è dispiegato nel Golfo persico: la prima volta che una portaerei americana opera attivamente in medio oriente da due anni, da quando cioè la Ronald Reagan lasciò l’area due anni fa per supportare le operazioni di ritiro dall’Afghanistan. E del resto è stata proprio la crisi in medio oriente a portare le due portaerei americane nel Mediterraneo: l’8 ottobre scorso, un giorno dopo l’attacco di Hamas contro Israele, il segretario della Difesa americano Lloyd Austin ha deciso l’invio della Uss Ford,  la portaerei più nuova e avanzata della Marina americana, nel Mediterraneo orientale. Una settimana dopo, il capo del Pentagono aveva annunciato l’invio a supporto di Israele anche del gruppo d’attacco della portaerei Eisenhower. Le azioni di deterrenza americane per frenare eventuali allargamenti del conflitto si fanno sentire: ieri il dipartimento della Difesa ha fatto un annuncio inconsueto, pubblicizzando in un post su X, l’ex Twitter, l’arrivo nella regione di un sottomarino a propulsione nucleare classe Ohio. Sono tutti movimenti pensati per “sostenere ulteriormente i nostri sforzi di deterrenza nella regione”, ha detto ieri durante una conferenza stampa il portavoce del Pentagono Patrick S. Ryder.

 


Dopo la missione dei giorni scorsi del segretario di stato americano, Antony Blinken, ieri è arrivato in Israele anche il capo della Cia, William Burns, ex diplomatico e da tempo al servizio dalla Casa Bianca di Biden anche per risolvere numerose questioni negoziali delicate solitamente affidate al dipartimento di stato. Washington sta muovendo tutte le pedine per negoziare, dialogare, e allo stesso tempo sta usando una deterrenza di posizionamento, senza show di forza. Ma la guerra tra Israele e Hamas sta rinvigorendo il sentimento antiamericano e antioccidentale soprattutto nell’area, con attacchi concreti: ieri Ryder ha detto che si sono intensificati gli attacchi contro le truppe americane in Siria e in Iraq, e proprio a Baghdad Blinken ha fatto una visita a sorpresa domenica scorsa, dove ha incontrato il primo ministro iracheno Mohammed Shia al Sudani e al quale ha chiesto di fare di più per individuare i gruppi degli attacchi alle basi americane. 
 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.