Istanbul

Nel Libano senza governo né risorse Hezbollah non può solo prendere ordini dall'Iran

Claudia Cavaliere

Il paese è allo stremo e il gruppo musulmano-sciita aiuta la popolazione portando risorse. Per questo ogni decisione politica viene presa anche e soprattutto in funzione delle scelte del Partito di Dio

Il Libano è il paese ai confini di Israele che fin dal 7 ottobre preoccupa di più: il lancio dei razzi, le risposte coi droni, i tentativi di incursione via terra accadono continuamente ma ora quasi tutti i giorni, in circa un mese di conflitto, sono stati registrati scontri, è stato ucciso un giornalista libanese, Issam Abdallah, colpito dal fuoco israeliano, sono state organizzate le evacuazioni dei cittadini di entrambi i paesi che vivono sul confine. Questi spostamenti sono stati decisi da Hezbollah – definito gruppo terroristico dagli Stati Uniti, mentre per l’Unione europea lo è solo la sua ala militare – e non dal Libano come stato: la parte meridionale e alcune aree della regione della Valle della Bekaa al confine della Siria rientrano nella giurisdizione del gruppo, così come i sobborghi a sud della capitale Beirut. Alcuni in Libano, invece, hanno scelto di rimanere: o come segno di resistenza o perché non avevano altro posto dove andare. “Entrambe le parti penso non vogliano che le cose degenerino: da parte israeliana per non avere un secondo fronte aperto nello stesso momento, mentre dal punto di vista di Hezbollah e dell’Iran, penso che, fino a quando la sopravvivenza di Hamas non sarà minacciata, decideranno di non intervenire”, dice al Foglio Ziad Majed, professore associato di studi mediorientali presso l’Università americana di Parigi. 

La prima volta che si è sentito parlare di Hezbollah è stato nel 1982, il suo nome in arabo significa Partito di Dio ed è nato come movimento musulmano-sciita in reazione all’occupazione israeliana del sud del Libano. Nel corso della sua storia, Hezbollah si è definito gruppo di resistenza votato alla protezione del Libano, alla lotta contro Israele e alla creazione di uno stato palestinese: nel suo manifesto, tra i suoi obiettivi c’è la distruzione dello stato di Israele. Il gruppo ha operato come milizia sostenuta dall’Iran, è diventato a tutti gli effetti un partito politico fino a crescere come potenza regionale. Ha sostenuto il presidente siriano Bashar el Assad, addestrato i ribelli Houti nello Yemen e le milizie sciite in Iraq e adesso è lo sbocco sul mare di un corridoio quasi impossibile da attraversare se non si sa come farlo – ci passano, armi, droga, soldi, influenza e potere – che parte dall’Iran, supera le regioni irachene di Diyala e dell’Anbar, percorre la Siria e arriva in Libano. 

Internamente, la crisi economica che ha ridotto alla miseria la maggioranza della popolazione libanese non è sanata e peggiora ancora tutti i giorni: i partiti politici hanno pagato alle urne il malcontento, la rabbia e la paura dei libanesi, traditi anche dall’esplosione al porto del 4 agosto 2020. Tuttavia, quando in Libano mancavano il carburante, le medicine, la luce, l’acqua, il pane, Hezbollah è arrivato a portarli: quando non c’è niente, forse non ci si chiede da chi arriva quello che serve. 

Un pomeriggio di oltre un anno fa a Beirut, intorno a un tavolo imbandito con datteri, avocado, noci, miele e tè, si parlava delle difficoltà di un Libano in ginocchio. C’era anche uno dei responsabili della presenza palestinese nei campi profughi libanesi – come Shatila – che ha spiegato che secondo lui l’errore più grande di Hezbollah è stato entrare in politica, ha detto che quello è stato il momento in cui ha dovuto lasciare andare alcuni degli obiettivi principali della sua causa. Adesso, è oltre un anno che il Libano non ha un presidente della Repubblica, è amministrato da un governo ad interim che non può svolgere tutte le sue funzioni e in cui le elezioni del 15 maggio dell’anno scorso hanno riconsegnato un Parlamento in cui nessuna forza politica ha abbastanza peso per fare qualcosa. “La situazione interna al Libano è presa in considerazione in ogni decisione di Hezbollah, perché il partito ha una sua base sociale nel paese, conosce la portata del disastro economico e sa che il Libano potrebbe non ricevere significativi aiuti economici, come invece dopo la guerra del 2006, per essere ricostruito. Le cose adesso sono diverse: anche se dovesse esserci pressione internazionale, l’individuazione di linee rosse, per il Libano fare una guerra sarebbe un disastro su una scala troppo larga. Anche se la decisione strategica sull’uso delle armi resta a Teheran, Hezbollah ha voce in capitolo”, dice Majed. Ma il fatto che il Libano non possa permettersi una guerra non è garanzia sufficiente affinché non accada. 

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