Caos al Congresso

Trump ha affossato il candidato a speaker della Camera Tom Emmer

Giulio Silvano

Da tre settimane il Congresso americano, e quindi il Partito repubblicano, non ha una guida. Dopo la sconfitta di Steve Scalise e Jim Jordan si era trovata un'intesa sul deputato conservatore del Minnesota. Poche ore dopo la nomination si è ritirato, e la colpa è dell'ex presidente

Ce l’aveva quasi fatta la maggioranza repubblicana alla Camera a trovare un nuovo leader da votare con compattezza in aula. Ce l’aveva quasi fatta a superare lo stallo che sta portando imbarazzo a tutto il Partito. Ma niente, ci si è messo di mezzo Donald Trump. Da quando lo speaker Kevin McCarthy è stato cacciato da un gruppetto capitanato dal trumpiano Matt Gaetz, ormai tre settimane fa, la Camera bassa, e quindi il partito, non ha una guida. Tutto è bloccato, gli aiuti agli alleati in difficoltà, le nomine interne, le leggi da vagliare, e il 17 novembre si rischia uno shutdown governativo. L’organo legislativo è monco senza uno speaker. Dopo Steve Scalise e Jim Jordan, scelti dalla maggioranza dei deputati del partito a porte chiuse e poi incapaci di trovare la maggioranza dei 217 voti necessari in aula, i repubblicani sembravano essersi accordati su Tom Emmer. Dopo la sconfitta di Jordan si erano candidati in nove, e dopo cinque votazioni segrete martedì si è trovata un’intesa sul nome del deputato conservatore del Minnesota che era pronto per affrontare l’opposizione in aula. Alcune ore dopo la nomination però Emmer si è ritirato.

 

Il motivo diventa sintomatico di come funziona la politica americana nell’èra Trump. Inizialmente l’ex presidente, che oggi non ha alcuna carica pubblica, ma che è in testa secondo i sondaggi nelle primarie di partito, aveva detto che sarebbe stato fuori dalla corsa per il martelletto. Due ore dopo ha scritto sul suo Twitter personale, Truth Social: “Ho molti amici meravigliosi che vogliono diventare speaker della Camera, e alcuni sono dei veri guerrieri. Il RINO Tom Emmer, che non conosco bene, non è uno di loro”, di fatto indicando a una parte dei deputati di non votare Emmer in aula. RINO significa Republican in name only, cioè un finto conservatore. Emmer “non ha mai rispettato il potere di un sostegno elettorale di Trump, e nemmeno la portata e gli obiettivi del movimento MAGA”, ha continuato Trump, chiamandolo un “globalista”. Cioè qualcuno che forse aiuterebbe nazioni come Ucraina e Israele inviando fondi e armi. Secondo voci raccolte da Politico, Trump avrebbe proprio detto di Emmer: “È finito.  Basta. L’ho ucciso”.

 

Emmer è colpevole di non aver appoggiato Trump alle primarie di partito e, alle scorse presidenziali, di aver certificato i voti che hanno consentito la vittoria di Joe Biden. Di questo si è spesso dovuto scusare con il mondo MAGA, dicendo “semplicemente ho seguito quello che diceva la Costituzione”. Ora, per questa fedeltà alle istituzioni democratiche e non al capo di quella che sembra sempre di più una setta autocratica, Emmer ha perso la possibilità di diventare speaker. E non che Emmer fosse un progressista, e nemmeno un moderato. Sui social ha postato video in cui spara con un fucile automatico con l’hashtag #MandaACasaNancyPelosi. Però non ha passato il test di devozione a Trump. Emmer ci aveva provato nel fine settimana, quando girava il suo nome come possibile speaker, a telefonare a Trump e a cercare di mostrare la sua deferenza, arrivando addirittura a scrivere sui social: “Grazie presidente. Se i miei colleghi mi eleggeranno speaker non vedo l’ora di continuare il nostro solido rapporto lavorativo”. Ma non è servito a niente. Trump ha anche detto che al momento l’unico che avrebbe automaticamente il posto sarebbe il figlio di Dio. “Se Gesù Cristo scendesse giù e dicesse ‘voglio essere speaker’ ce la farebbe. Altrimenti non vedo nessun altro di sicuro”. Ora il candidato che ha sostituito Emmer è il deputato della Louisiana Mike Johnson, lui sì trumpiano fedele.

 

Johnson è stato uno dei legali di Trump durante i due impeachment portati avanti dal Senato a guida democratica, e nel 2020 ha contestato le elezioni presidenziali cercando di bloccare la certificazione dei voti, parlando di elezioni rubate e partecipando al tentativo di colpo di stato. Bisogna vedere se tutti saranno d’accordo ad avere alla guida della camera uno così vicino a chi sta distruggendo il partito, o se farà la fine dell’altro apostolo MAGA, Jim Jordan. Prima di presentarsi davanti all’opposizione dovrà confermare l’appoggio dei suoi colleghi di partito. “Ristabiliremo la vostra fiducia in quello che facciamo qui. Vedrete una nuova forma di governo. Questo gruppo è pronto per governare, e lo faremo bene”, ha detto Johnson. Ma da oltre tre settimane il partito sta mostrando la confusione interna, le divisioni metodologiche e ideologiche ma, soprattutto, quanto Donald Trump sia ancora in controllo di alzare e abbassare il pollice per decidere chi andrà avanti. Nel frattempo l’ex presidente martedì a un comizio ha elogiato Viktor Orbán, “uno dei più forti leader nel mondo”, ma si è confuso dicendo che è il presidente della Turchia. Ecco i suoi fari di leadership.