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La Polonia in bianco e nero

Micol Flammini

La regista Agnieszka Holland ci racconta come il suo ultimo film "Il confine verde" è diventato la bussola della campagna elettorale polacca

Odio e amore sono parole che si rincorrono per le strade della Polonia. Le pronunciano con insistenza i candidati alle elezioni che si terranno domenica, spuntano sui cartelloni, sono identificate nei colori che i partiti dell’opposizione hanno scelto. Il colore del PiS, il partito che governa la Polonia dal 2015, è sempre stato il nero, non per scelta, ma in nero vengono rappresentate le circoscrizioni che votano PiS e così, nelle ultime votazioni, quasi tutta la Polonia appariva come una macchia nera, con sprazzi blu concentrati soprattutto al centro, che rappresentavano le zone in cui invece aveva vinto l’opposizione. Quest’anno però Donald Tusk ha deciso di imporre un altro colore ai partiti che ambiscono a battere il PiS, e il giorno di apertura della campagna elettorale si è presentato in camicia bianca e con un cuore dei colori della bandiera polacca affisso sul petto. E’ stato immediato: da una parte c’era il nero, dall’altra c’era il bianco. Da una parte c’erano gli attacchi d’odio, dall’altra c’era il cuore diventato simbolo di una campagna elettorale alla quale viene dato un valore esistenziale. Su alcuni manifesti  c’è scritto “Polacchi, sconfiggiamo questo male. Vinciamo”, le fiamme avvolgono le prime lettere del verbo “vinciamo”, l’ultima sillaba è bianca e rossa, i colori della bandiera. Su questi cartelloni,  il nome del partito di Tusk, o dell’opposizione, non spunta da nessuna parte, neppure quello del PiS c’è. Manca anche la parola elezioni. Ufficialmente il manifesto è finanziato da Jurek Owsiak, l’attivista polacco che ha fondato l’organizzazione di beneficenza “Wielka orkiestra swiatecznej pomocy” che raccoglie denaro per la ricerca contro alcune malattie e  da alcuni anni è indelebilmente legata all’opposizione. Il male sul manifesto non è specificato, ma tutti sanno che questa volta è un male politico. 

 

“Il confine verde” di Holland ha ispirato anche gli slogan delle marce dell’opposizione. Il più famoso è stato: “Sono un maiale”

 

E’ stata una campagna elettorale aspra, disonesta, con attacchi personali, bugie, televisioni governative trasformate in organi di propaganda che sottopongono gli spettatori a ore di speciali sugli effetti disastrosi della presenza dei migranti nella società, con immagini di città svedesi o tedesche un tempo votate all’accoglienza e ora trasformate in banlieue infuocate. E’ stata una campagna elettorale non tra avversari, ma tra nemici, in cui le categorie del bene e del male, del bianco e del nero si sono trasformate in modo rischioso in programmi elettorali e in cui un film che ha vinto il premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia si è trasformato in uno spartiacque tra l’umano e il disumano, il futuro e il passato e ancora tra il bene e il male. Il confine verde, Green border, Zielona granica è l’ultimo film della regista polacca Agnieszka Holland e si è ritrovato a essere  una frontiera anche politica da trascinare  nella campagna elettorale. Le elezioni sono entrate anche al cinema, senza che Holland lo volesse. “Quando abbiamo deciso che il film sarebbe stato presentato a Venezia, ormai me lo aspettavo”, dice al Foglio in una Varsavia in cui la parola elezioni, wybory, un termine che in polacco vuol dire anche “scelte”, rimbalza nelle sale cinematografiche, nei tavoli dei caffè, nei mezzi di trasporto, ovunque si tentano di indovinare le geometrie di probabili coalizioni, perché questa volta la domanda non è tanto chi vincerà, ma chi si alleerà con chi. “Presentare il film  a Venezia voleva dire farlo prima delle elezioni e arrivati a quel punto sapevamo che sarebbe stato utilizzato in campagna elettorale. Non mi sarei mai aspettata però certe reazioni, certi attacchi personali”. E’ stato il governo ad attaccare la regista e il suo film, e c’è un precedente.

 

Nel 2019, qualche mese prima delle ultime elezioni parlamentari, era uscito il documentario di Tomasz Sekielski, Non dirlo a nessuno. Il regista ripercorreva la storia di alcuni minori che avevano subìto abusi da parte di preti, raccoglieva testimonianze, documenti, restituendo l’immagine di una chiesa polacca alla deriva, disonesta, sporca. Il PiS aveva usato il film in campagna elettorale, per mostrarsi come difensore dell’istituzione ecclesiastica polacca contro un’opposizione che infangava invece i suoi valori. Questa volta la chiesa non c’entra.  Agnieszka Holland descrive invece il confine verde che nel mezzo della foresta di Bialowieza divide la Bielorussia e la Polonia e che,  da quando il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka ha organizzato un traffico di migranti con l’obiettivo di colpire i paesi dell’Unione europea nelle proprie  paure,   si è trasformato in una terra di nessuno, senza diritti, senza umanità. I migranti portati dal regime di Minsk alla frontiera  vengono spinti da una parte all’altra del confine, muoiono nei campi bielorussi, nella foresta polacca, disumanizzati dalle guardie di entrambi i paesi. Non è un documentario, è un film al quale Holland ha lavorato però raccogliendo testimonianze. “L’idea di girarlo me l’ha data il potere. Quello di Lukashenka che ha avuto l’idea di usare degli esseri umani come fossero armi, e il potere polacco che ha deciso di trattare queste persone come fossero strumenti per ottenere risultati politici. Per la prima volta ho visto l’uso istituzionale della violenza come risposta a una crisi umanitaria e ho pensato che questo potesse essere il punto di svolta, il prologo di molti avvenimenti brutti. Così ho deciso di fare un film, non potevo realizzare nulla di più importante, non avevo altri mezzi e all’inizio non è stato neppure semplice trovare le risorse. Se il governo polacco si fosse comportato in modo responsabile, questo film non esisterebbe. Si lamentano, ma sono stati loro a scrivere la sceneggiatura del mio film”. L’uso che il PiS fece di Non dirlo a nessuno, secondo alcuni sondaggi, consentì  al partito si guadagnare qualche voto  dagli indecisi, dopo l’uscita di Il confine verde, gli esperti  si sono domandati se l’effetto sarebbe stato simile. “Hanno cercato di far degenerare il dibattito, dice Holland, ma quel che è parso chiaro è che il film era necessario. Mi ha colpita che un un film lungo in bianco e nero abbia incuriosito tanto. Le persone hanno bisogno di vederlo e di parlarne e alla fine ci sono applausi e domande”.

 

La sceneggiatura del mio film l’ha scritta il governo polacco, se si fosse comportato in modo responsabile con i migranti non avrei avuto l’idea 

 

Agnieszka Holland si è accorta che la pellicola  è diventata un mezzo di psicoterapia collettiva, il governo l’ha definita antipolacca, per i suoi sostenitori invece è arcipolacca: un film patriottico. “Per il PiS si tratta di un lavoro che offende i cittadini, a me non sembra che gli spettatori si sentano offesi. Con chi ti identifichi? Con l’ufficiale della guardia di frontiera che respinge i migranti in Bielorussia? Con quello che invece è costretto a farlo perché gli ordini sono questi, ma soffre, è sconvolto? Oppure con gli attivisti che rischiano la propria vita e  percorrono la foresta per salvare quelle degli altri?”. Il film è il racconto di un pezzo di storia polacca ed europea, e i suoi protagonisti non sono tutti buoni o tutti cattivi, ci sono sfumature, posizioni. Agnieszka Holland non si sente né antipolacca né arcipolacca, dice: “Mi sento polacca e basta e nel film mi identifico con chi   si comporta da brava persona. Invece, il ministro della Giustizia Ziobro probabilmente si identifica con i sadici che si divertono a veder soffrire e a far soffrire persone che fuggono e cercano una vita nuova. Ma io non credo che la maggioranza dei polacchi sia sadica”.  

 

Il governo l’ha attaccata, ma l’opposizione l’ha difesa, tanto che alcuni degli slogan della campagna elettorale sono ispirati proprio al suo film. Il primo ottobre migliaia di cittadini si sono riuniti a Varsavia e alcuni sui cartelli avevano scritto: “Amo il cinema” oppure “sono un maiale”. La reazione di uno dei capi della Guardia di frontiera dopo l’uscita del film era stata: “Soltanto i maiali vanno al cinema”. Il presidente della Polonia, Andrzej Duda, anche lui del PiS, aveva detto che l’affermazione non lo aveva sorpreso, e anzi la comprendeva. La frase è impressa nella storia polacca perché durante l’occupazione nazista, la resistenza  vedeva nel cinema un’arma nelle mani della propaganda del regime, che usava i cinematografi per mostrare i discorsi di Hitler.  Lo slogan “Solo i maiali vanno al cinema” venne diffuso dal fondatore di un’organizzazione dedita ai sabotaggi chiamata Wawer, ed era una frase della resistenza al nazismo per incentivare i cittadini a non subire la propaganda. Il paragone tra i cinematografi  di Hitler e il film di Holland non regge e i polacchi hanno risposto con ironia proclamandosi, fieramente, maiali. “Negli anni Settanta, dice la regista, io e alcuni miei colleghi girammo alcuni film che vennero ribattezzati ‘il cinema dell'inquietudine morale’. Oggi, qualcuno ha definito Zielona granica ‘un grido dell’inquietudine morale’, e credo che  sia una giusta definizione”. 

 

Chiudendo l’accesso al confine Kaczynski ha detto  che l’America ha perso in Vietnam a causa  dei giornalisti: ha un’idea del cinema leninista 

 

In queste elezioni i polacchi non voteranno soltanto per rinnovare il Parlamento, il governo ha deciso di associare al voto anche un referendum sui migranti. Ha deciso così l’argomento della campagna elettorale, questo spiega le lunghe dirette della televisione di stato sui pericoli dell’accoglienza, ha fatto dei migranti e anche dell’Unione europea con il suo sistema di redistribuzione gli spauracchi che minacciano la sicurezza della Polonia. Un film come Il confine verde non poteva che finire nella macchina della campagna elettorale. “L’immigrazione, dice Holland, è un fenomeno reale che sta cambiando il mondo, tutto dipende dai numeri, ma le persone iniziano a sentire minacciato il loro spazio identitario, non si sentono più a casa. Questa paura  è forte e l’Europa è un continente ricco, per cui il numero dei migranti è destinato a crescere. L’idea dei governi è disincentivare le partenze e i politici sono sempre più disposti a usare la forza per farlo”. Alcuni leader, dice la regista, hanno perso anche la vergogna per la violenza: “Iniziano a dire apertamente che i migranti vanno annegati, cacciati. Le persone si   abituano  a questo linguaggio e  quello che prima non poteva essere detto in pubblico adesso viene urlato.  Credo che questo vortice vada fermato”. Secondo Holland, un impulso atavico alla chiusura spinge gli esseri umani a non voler aprire i propri confini a culture diverse e questo rende l’immigrazione un argomento elettorale che i politici possono usare con facilità: basta fare paura. Non c’è condanna nelle parole della regista quando dice che è una reazione istintiva l’avere paura del diverso, e che questa paura risponda  all’istinto si è visto quando migliaia di ucraini sono arrivati al confine  della Polonia per fuggire dalla guerra e l’hanno trovato aperto. Anche il governo sembrava improvvisamente disposto all’accoglienza: “L’atteggiamento del governo è stato piuttosto cinico. Ha visto prima come si comportavano le persone, l’aiuto dal basso, spontaneo, la solidarietà che i polacchi stavano dimostrando. Andavano al confine per dare passaggi agli ucraini in arrivo, per offrire un rifugio, e così il PiS ha fatto altrettanto. Il sostegno dei polacchi era qualcosa di autentico, ma dopo un anno e mezzo ha iniziato a sfilacciarsi, c’è stanchezza, c’è frustrazione. Le persone quando aiutano si aspettano cenni continui di gratitudine”, Holland non condanna mai la natura umana, sembra sempre cercare di capirla, piuttosto vede il pericolo nell’uso che ne fa il potere. “Quindi quando questo senso di stanchezza ha iniziato a montare, il governo l’ha fiutato, è spuntato un partito concorrente a destra, Konfederacja, che si è fatto largo con affermazioni antiucraine, quindi è incominciata la rincorsa e improvvisamente il PiS ha iniziato a mettere in dubbio gli aiuti per Kyiv, senza rendersi conto che stava rovinamento l’immagine della Polonia nel mondo, che in un anno e mezzo si era fatta più bella proprio per il suo ruolo contro l’aggressione russa. Ma nulla, ha preferito sacrificare la rilevanza internazionale di Varsavia per recuperare un paio di voti”. 

 

Il bianco e nero è una metafora estetica che elimina le concezioni di tempo e di spazio, serviva quel tono per dare la giusta ruvidezza

 

La Polonia è maestra di cinema e l’irruzione di un film nella campagna elettorale, l’uso giusto o sbagliato che se ne è fatto, dà comunque al cinema polacco un ruolo importante nella società, un ruolo combattivo, imprescindibile. Agnieszka Holland sorride sentendo queste parole, mescola celia e  lusinga: “Sicuramente il leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski, che è un uomo della mia generazione ne è ossessionato perché lo vede come mezzo di propaganda sul modello leninista. Crede che il cinema sia importante, che lo siano le immagini in generale, era così nel periodo comunista, per questo ha creato quello stato di emergenza al confine”.  Tra Bielorussia e Polonia c’è una zona del territorio polacco dentro alla foresta in cui può accedere soltanto la guardia di frontiera, l’ingresso è stato proibito a chiunque, anche a giornalisti e associazioni umanitarie, nessuno sa cosa succeda al suo interno. “Quando il governo ha bloccato l’accesso alle telecamere, Kaczynski ha risposto che gli americani hanno perso la guerra in Vietnam perché hanno lasciato che i giornalisti mostrassero cosa accadeva, l’opinione pubblica ha visto, non ha sostenuto i soldati, la guerra è stata persa. Così non vuole che i polacchi si sentano a disagio vedendo cosa accade lungo il loro confine. Ho fatto un film per mostrarlo, ho lavorato in modo meticoloso, con molti testimoni e i polacchi vengono al cinema per guardare, per sapere: ne è uscito un film di cui tutto il paese parla, che entra nella coscienza”. 

 

Agnieszka Holland la libertà ce l’ha impressa nella sua storia di famiglia, ha origini ebraiche, suo padre ha combattuto il nazismo, è stato arrestato per alto tradimento dal regime comunista e si suicidò, sua madre aveva preso parte all’insurrezione di Varsavia, lei stessa è stata dissidente durante la Repubblica popolare di Polonia. Il cinema di Holland è sempre impegnato, anche ne Il confine verde tutto ha un significato a cominciare dalla scelta di realizzare un film che ha un colore nel titolo, ma è girato senza colori: “Ho pensato che il bianco desse la giusta ruvidezza che si addice a un film paradocumentaristico. E’ una metafora estetica, il bianco e il nero generalizzano, eliminano la concezione di spazio e di tempo”. Sapeva che il suo film avrebbe fatto dibattere, che sarebbe entrato in quell’agone tra odio e amore che smuove la politica, ma in fondo lo vede come il suo ruolo: “Non amo che nell’ambito dell’arte e del cinema, che è una mezza arte, si usi il verbo ‘dovere’. Ma credo che la sua caratteristica principale sia creare spazi di libertà, in cui tutto è possibile, dove si immagina, ma dove si possono anche  lanciare provocazioni. Non bisogna farlo in modo per forza impegnato e non per forza bisogna parlare alla politica, ma ritengo che allontanare il cinema dalla realtà sia un peccato. In questo momento chiuderci nel lirismo rischia di relegare il cinema nell’indifferenza.  C’è bisogno di film che smuovano, dal cinema ci si aspetta coraggio”.  

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.