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Stati Uniti

Il dovere di difendersi dagli stati islamici

Claudio Cerasa

Il presidente americano Joe Biden spiega con parole nette perché Hamas è come l’Isis. E perché rispondere non è un diritto: è un dovere

Come l’Isis, avete capito bene. Le parole hanno un peso, si sa, e quando si tratta di Israele, quando si tratta cioè di parlare di difesa della democrazia, di difesa della libertà, di difesa dell’occidente, le parole giuste hanno un peso specifico maggiore, doppio, e chi le usa in modo corretto merita di essere accolto con un applauso fragoroso. L’applauso di oggi va senza dubbio al presidente degli Stati Uniti Joe Biden che nella notte di ieri 11 ottobre ha utilizzato un’espressione perfetta, universale, per spiegare esattamente contro cosa combatte oggi Israele. E per ricordare, senza ambiguità, senza infingimenti, senza ipocrisie, cosa c’è dietro a quelle immagini.

 

    

Dietro alle immagini dei giovani massacrati mentre partecipavano a un festival musicale per celebrare la pace. Dietro alle immagini delle donne violentate, aggredite, sfilate come trofei. Dietro alle immagini di quei bambini in braccio alle madri, nonni su sedie a rotelle, sopravvissuti all’Olocausto rapiti e tenuti in ostaggio. “Hamas – ha detto – non difende il diritto del popolo palestinese alla dignità e all’autodeterminazione: il suo scopo dichiarato è l’annientamento dello Stato di Israele e l’assassinio del popolo ebraico. Il cui scopo dichiarato è quello di uccidere gli ebrei. Usano i civili palestinesi come scudi umani. La brutalità di Hamas – questa sete di sangue – ricorda il peggio – la peggiore furia dell’Isis”.

Michael Oren, ambasciatore israeliano negli Stati Uniti dal 2009 al 2013, ha detto alla Bbc di non aver mai visto un discorso così inequivocabile a sostegno di Israele. A sostegno  del suo diritto a esistere. A sostegno del suo diritto a resistere. A sostegno, soprattutto, del suo diritto a reagire. E difendersi. Oren coglie un punto. E coglie l’universalità delle parole di Biden. Perché dire che Hamas agisce come l’Isis significa affermare e ricordare che le azioni di Hamas non derivano da una reazione legata a ciò che Israele avrebbe fatto contro i palestinesi ma derivano al contrario da un’azione lucida e razionale che deriva da una precisa visione del mondo, da una precisa teologia, quella islamista, che trova una sua precisa giustificazione nei versetti del Corano e che risponde a un’ideologia sì medievale e violenta ma drammaticamente diffusa nel mondo islamico: uccidete gli infedeli con tutti i mezzi possibili anche quelli individuali. Gli infedeli in questione, vittime del fanatismo islamista, oggi sono gli ebrei.

Ma la logica della spada che si sostituisce alla logica della regione, e la trasformazione di una religione in qualcosa di simile a una forma moderna di islamofascismo, è la stessa logica che vive nelle azioni portate avanti dagli islamisti contro i simboli della civiltà occidentale. È la stessa logica che vi è dietro un attacco a una sinagoga, dietro a una decapitazione di un sacerdote in una cattedrale, dietro a un prete sgozzato in chiesa, dietro a un Tir che si schianta contro la folla di un mercatino di Natale, dietro a un professore decapitato dopo aver tenuto in classe una lezione sulla libertà d’espressione, dietro a una redazione di un giornale satirico devastata a colpi di kalashnikov, dietro a un attentato compiuto a due passi da un Parlamento, dietro alle campagne genocidiarie lanciate contro gli yazidi e i cristiani in Iraq, dietro alle gole tagliate agli apostati.

Dire che Hamas agisce come l’Isis significa avere il coraggio di affermare che il mostro contro cui oggi combatte Israele, e contro cui dovrà reagire, è lo stesso mostro contro cui combatte l’occidente quando si ritrova assediato dai terroristi islamisti. Ma dire che Hamas agisce come l’Isis significa anche spingere l’opinione pubblica a fare un passo in più. A riconoscere che il dramma della strage compiuta da Hamas non sia solo la strage ma sia l’essenza stessa di Hamas, e quello che rappresenta, e ad accettare anche la possibilità che contro i terroristi che minacciano le nostre libertà possano essere utilizzati dei mezzi brutali, come sarà l’imminente bombardamento di Gaza.

Hamas, ha scritto Marc Fisher sul Washington Post, potrebbe riuscire a raggiungere alcuni dei suoi obiettivi usando gli attacchi per rafforzare il sostegno tra i palestinesi sia a Gaza che in Cisgiordania ed è vero che l’invasione potrebbe anche avere l’effetto di dissuadere gli stati arabi dal procedere alla normalizzazione diplomatica con Israele. Le emozioni sono importanti da considerare, ma un calcolo accurato direbbe che solo perché l’altra parte vuole che tu attacchi di nuovo non significa che non dovresti farlo”. C’è solo un modo per evitare che la risposta brutale contro Israele possa essere descritta come un atto controproducente, ingiusto, disumano. L’unico modo è spiegare cosa ha di fronte Israele. L’unico modo è ricordare che chi ha ucciso e mozzato le teste ai bambini nelle case di Tel Aviv è lo stesso male che promette di farlo ancora se noi decideremo di utilizzare il metro della proporzionalità per misurare la reazione di Israele. Riprendersi Gaza, distruggere Hamas, combattere il nuovo Isis. “Faremo in modo che Israele abbia ciò di cui ha bisogno per prendersi cura dei suoi cittadini, difendersi e rispondere a questo attacco”, ha detto ancora Biden. Come ogni nazione al mondo, Israele ha il diritto di rispondere – anzi ha il dovere di rispondere – a questi feroci attacchi”. Esistere, resistere, rispondere, difendersi. Non un diritto, ma un dovere. Si scrive Hamas, si legge Isis. God bless Joe Biden.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.