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L'attacco

L'Iran accerchia Israele da tre parti

Giulio Meotti

Teheran sapeva dell’assalto e aveva già detto: portate la rivoluzione islamica in Cisgiordania

“Entro il 2022, Israele sarà distrutto”, declamava otto anni fa Hassan Azghadi del Consiglio supremo iraniano per la Rivoluzione, il braccio destro di Ali Khamenei. Anche uno dei capi di Hamas, Fathi Hamad, disse che i palestinesi avrebbero liberato  la Palestina “entro il 2022”. Le profezie islamiste sono scritte sull’acqua, ma il fatto che ci credano dovrebbe essere preso sul serio. Era dal 1973 che Israele non dichiarava lo stato di guerra. Sabato il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, festeggiava facendosi riprendere in preghiera verso la Mecca in una camera di hotel e davanti a un 55 pollici a Doha, in Qatar. Da Gaza, Mohammed Deif guidava il blitz jihadista. In sedia a rotelle, comandante militare di Hamas sul cui nome dal 1994 c’è una bomba israeliana, Deif ha vissuto più a lungo di qualsiasi altro leader di Hamas: è a capo degli “scissionisti”, l’ala oltranzista di Hamas legata all’Iran contrapposta a quella legata ai Fratelli musulmani e al Qatar.

Governare un lembo di terra o continuare la resistenza islamica? Haniyeh e Khaled Mashaal, i due leader di Hamas, risiedono a Doha nel lusso e viaggiano fra le capitali mediorientali sul jet Gulfstream fornito dal clan al Thani al potere a Doha. Una società immobiliare del Qatar ha svelato un progetto di sette acri in Qatar che comprende quattro torri e un centro commerciale di proprietà di Mashaal, sua moglie e suo figlio: 250 appartamenti di lusso, un club privato, un asilo, una biblioteca e attrazioni turistiche. 1,8 miliardi di dollari in dieci anni: tanto il Qatar, le banche del Qatar e gli “enti di beneficenza” del Qatar hanno inviato nella Striscia di Gaza sotto dominio degli islamisti dal 2007. Fino a sabato scorso, l’attenzione di Israele era concentrata su Jenin, la più grande città palestinese della Cisgiordania dominata da Hamas e dal Jihad islamico, a cui le Guardie iraniane forniscono centocinquanta milioni di dollari. 

Dall’inizio dell’anno, gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania hanno ucciso 24 israeliani. Un elicottero israeliano Apache a luglio ha colpito Jenin. Era la prima volta dalla Seconda Intifada palestinese, vent’anni fa, che l’esercito utilizzava elicotteri d’attacco nella città palestinese. Gli scontri a Jenin avevano visto l’introduzione di armi palestinesi, comprese bombe e razzi che secondo l’esercito israeliano sono stati creati sotto la direzione e istruzioni specifiche di Hamas. “Operazione più lunga in vent’anni”. “L’operazione di Jenin verrà considerata come una pietra miliare per l’esercito non solo per il tempo impiegato a uscire dall’inghippo (l’operazione offensiva più lunga intrapresa dalla Seconda intifada), ma anche per l’introduzione di potenti Ied che trasformano l’area in qualcosa che ricorda il sud del Libano degli anni Novanta”, ha scritto Yossi Yehoshua, corrispondente militare per il quotidiano israeliano Yediot Ahronot. E come scrive Khaled Abu Toameh sul Jerusalem Post, sono “immagini che danno l’impressione che l’operazione antiterrorismo israeliana, iniziata diversi mesi fa, non sia riuscita a sradicare i gruppi armati. Creano anche l’impressione che alcune parti della Cisgiordania, in particolare Jenin, stiano iniziando ad assomigliare alla Striscia di Gaza e al Libano”. 

Ma se è vero, come ha confessato domenica Hamas, che Teheran sapeva dell’assalto dalla Striscia verso i moshav e kibbutz d’Israele, serve ricordare che la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, aveva apertamente esortato a esportare la rivoluzione islamica del regime khomeinista nelle colline della Cisgiordania. Una premeditata operazione militare a tenaglia del regime iraniano. Oggi l’Iran accerchia Israele su tre lati. Da Gaza Hamas e Jihad islamico hanno attaccato come mai prima. Resta da vedere come e quanto si aprirà il fronte dal Libano, dove Hezbollah dispone di 180 mila razzi e missili puntati contro le città israeliane. 

Lavorano a un eterno 2022 della guerra allo stato ebraico.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.