gli analisti

La risposta di Israele

Fabiana Magrì

Non è il momento di rivelare gli errori, saranno considerati al momento giusto, adesso bisogna prevedere le prossime mosse dei terroristi. Il primo punto nel piano dello stato ebraico è riguadagnare il controllo sulle località prese da Hamas

Tel Aviv. “Il nostro primo obiettivo è eliminare le forze ostili che si sono infiltrate nel nostro territorio e ripristinare la sicurezza e la tranquillità nelle comunità che sono state attaccate. Il secondo obiettivo, allo stesso tempo, è esigere un prezzo immenso dal nemico, anche all’interno della Striscia di Gaza. Il terzo è rafforzare gli altri fronti affinché nessuno si unisca erroneamente a questa guerra”. Nelle dichiarazioni del primo ministro Benjamin Netanyahu all'inizio della riunione del gabinetto di sicurezza c’è la sintesi di quanto sta accadendo in Israele dall’alba di oggi. Quello che manca ancora è l’analisi della sorpresa e della confusione provocati dall’attacco premeditato e pianificato, condotto in modo coordinato e simultaneo, dei combattenti armati di Hamas da Gaza.

E dei buchi di sicurezza, fisici e di intelligence, che Israele - lasciando tutti di stucco - ha dimostrato. “Ne parleremo fino allo sfinimento quando sarà tutto finito, ma adesso siamo ancora dentro gli eventi e parte della risposta a questi eventi è anche non rivelare dove siano questi buchi di sicurezza lungo la barriera di separazione, visto che sono ancora rilevanti”, dice al Foglio il colonnello dell’esercito israeliano in pensione Miri Eisin, con vasta esperienza nell'intelligence militare. E si spinge oltre. “In tutta la zona centrale del Gush Dan le persone restano dentro casa perché uno degli aspetti che non è ancora chiaro è se l’infiltrazione sia solo nel sud del paese o se aumenterà e si estenderà oltre.”

 

“È un giorno molto duro, questo 7 ottobre” che, esattamente 50 anni dopo la stessa data del 1973, è stato il giorno più difficile, il primo, della guerra di Yom Kippur. “Almeno per il modo in cui è iniziata questa mattina.” Così ha esordito, in un briefing per la stampa, l’ex capo del Consiglio di sicurezza nazionale israeliano Giora Eiland. “La prima cosa da capire è che - e lo dico da 15 anni - Gaza è diventata uno stato indipendente. E questo è l’inizio di una guerra tra lo Stato di Israele e lo Stato di Gaza. Espressioni come 'organizzazione terroristica' sono irrilevanti a questo punto”.

Quello che l’ex militare ora analista si aspetta da parte dell’establishment della difesa è un assedio forte e totale della Striscia, attacchi su obiettivi non solo militari e una guerra che durerà ben oltre i pochi giorni delle operazioni più recenti. E, come Netanyahu ha dichiarato, ritiene che la priorità sia adesso tentare di riguadagnare il controllo sulle località prese da Hamas, evacuare in sicurezza la popolazione che è ancora chiusa nei rifugi con il pericolo di finire in mano nemica, liberarsi della minaccia dei miliziani armati palestinesi ancora in circolazione in territorio israeliano e ripristinare la sicurezza lungo la barriera che separa Israele dalla Striscia. La seconda fase, sostiene Eiland, sarà quella di una “guerra totale”, che non risparmierà sforzi.

L’altra questione importante, cioè se si accenderanno altri fronti e arene, si disvelerà nelle prossime ore e nessuno avanza previsioni. “Fino ad ora” è l’espressione che inizia e conclude ogni riflessione sul possibile coinvolgimento di Hezbollah a nord, dei palestinesi in Cisgiordania e dei cittadini arabi israeliani, già sollecitati a unirsi agli attacchi da parte del capo dell'ala militare di Hamas Mohammad Deif, dalla Striscia. L’operazione di “successo, dal loro punto di vista”, azzarda ancora Eiland, potrebbe convincere Hezbollah a entrare nell’arena, aprendo un nuovo fronte contro Israele, “che è esattamente ciò che l’Iran vuole realizzare.” E se altri fronti si apriranno, nota Miri Eisin, “anche le considerazioni dovranno essere molto più ampie.”  È il destino degli israeliani presi in ostaggio - Hamas afferma di aver catturato e portato dentro la Striscia un impressionante numero di soldati e civili, ben 52 secondo report non confermati - a destare ulteriore preoccupazione e orrore. Una delle condizioni per Israele, prima di acconsentire a una qualunque ipotesi di cessate il fuoco alla fine di questa guerra, sarà la completa restituzione di prigionieri e cadaveri di israeliani che sono adesso nelle mani di Hamas.

 

L’Arabia Saudita, che ha invitato le due parti a interrompere l’escalation, ha affermato in una nota di aver “ripetutamente avvertito” di una situazione esplosiva con i palestinesi. Il messaggio che Hamas sta passando, più o meno intenzionalmente, a Israele ma anche agli stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con il nemico numero uno, così come ad Arabia Saudita e Stati Uniti che stanno manovrando per un accordo diplomatico allargato, è che non si può ignorare la questione palestinese né relegarla ai bordi del tavolo delle trattative.

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