in francia

Cosa rischia Le Pen per l'accusa di "appropriazione indebita di fondi europei"

Mauro Zanon

La procura di Parigi ha chiesto il rinvio a giudizio per la sovranista francese, che già pensa a come evitare sanzioni troppo pesanti da parte dei giudici

Parigi. Nemmeno il tempo di sfogliare le foto ricordo del vaudeville à l’italienne a Pontida accanto al suo amico e alleato Matteo Salvini  che i magistrati francesi l’hanno riportata alla realtà dei dossier giudiziari. Venerdì, la procura di Parigi ha chiesto il rinvio a giudizio per Marine Le Pen e per altre ventisette persone con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici europei negli anni in cui la madrina del sovranismo francese è stata eurodeputata, tra il 2004 e il 2017, e il suo partito si chiamava ancora Front national (oggi Rassemblement national). Oltre a Marine Le Pen, nella lista degli indagati, figurano il padre Jean-Marie e altri nove eurodeputati, dodici assistenti frontisti delle sedi di Bruxelles e Strasburgo e quattro collaboratori dell’ex Fn. Gli altri nomi di spicco sono Louis Aliot, ex compagno di Marine, Bruno Gollnisch, con un passato da numero due del partito, Nicolas Bay, attuale vicepresidente della formazione sovranista rivale Reconquête!, Wallerand de Saint-Juste, tesoriere all’epoca dei fatti contestati, e Julien Odoul, oggi portavoce di Rn. La giustizia francese sospetta che Marine Le Pen abbia “organizzato un sistema fraudolento di appropriazione indebita di fondi europei a suo vantaggio, attraverso l’assunzione fittizia di assistenti parlamentari”.

 

Nel dettaglio, le dotazioni degli eurodeputati sarebbero servite a stipendiare degli assistenti “fittizi”, ossia che invece di occuparsi di missioni europee per conto del partito, lavoravano esclusivamente su questioni domestiche, all’interno del territorio nazionale francese. “Contestiamo questa visione, che ci sembra sbagliata, del lavoro dei deputati d’opposizione e dei loro assistenti, un lavoro che è anzitutto politico”, ha reagito l’entourage di Le Pen, attuale capogruppo dei deputati Rn all’Assemblea nazionale. “Esporremo i nostri argomenti davanti al tribunale”, ha aggiunto l’entourage, accusando i magistrati di giustizia a orologeria: “Curiosamente, questo genere di decisioni viene preso sistematicamente e puntualmente durante il periodo elettorale”. Fra nove mesi ci sono elezioni europee, dove la lista sovranista guidata dal delfino di Marine e attuale presidente di Rn, Jordan Bardella, è in testa secondo tutti i sondaggi. Ma cosa rischia l’ex candidata alle presidenziali, sconfitta per due volte consecutive da Emmanuel Macron e accusata ora di “appropriazione indebita di fondi europei” e “complicità” col sistema fraudolento? La procura, nel suo comunicato, ha sottolineato che la pena massima in questi casi è dieci anni di carcere, il pagamento di una multa da 1 milione di euro e la privazione del diritto di eleggibilità per dieci anni (durata massima).

 

Tutto inizia nel 2015, quando l’Europarlamento annuncia di aver sollecitato l’Ufficio europeo per la lotta anti frode, in seguito a possibili irregolarità nei versamenti di denaro sui conti corrente di alcuni assistenti parlamentari dell’allora Front national. Nel dicembre 2016, due giudici parigini aprono un’istruttoria, e nel giugno del 2017, poco dopo la prima sconfitta al ballottaggio contro Macron, Marine Le Pen è iscritta nel registro degli indagati. Ora, la leader sovranista francese, assieme ad altre ventisei persone del suo partito, è chiamata a presentare la sua versione dei fatti davanti al tribunale, anche se curiosamente, prima ancora della notifica della procura parigina, ha accettato di versare 339mila euro nelle case del Parlamento europeo per aver remunerato con i fondi Ue due assistenti che lavoravano per il suo partito in Francia, la sua capa di gabinetto e la sua guardia del corpo. Il rimborso è stato effettuato per evitare “un’esecuzione forzata” della decisione amministrativa presa dal Parlamento europeo, ha commentato Rodolphe Bosselut, avvocato di Marine Le Pen. Secondo quest’ultimo, il pagamento “non costituisce in alcun modo un’ammissione esplicita o implicita delle affermazioni del Parlamento europeo”. Ma sembra proprio un tentativo di evitare sanzioni troppo pesanti da parte dei giudici.