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IN spagna

Per far fronte alle destre Sanchez ha solo un alleato: Puigdemont

Pietro Guastamacchia

Il leader in esilio, dopo anni di silenzi e ombre, è tornato prepotentemente al centro della politica spagnola e da Bruxelles ha dettato le sua condizioni per un’alleanza tra i socialisti e le forze indipendentiste catalane: è l'unica chanche per il premier uscente per non tornare alle urne

Strasburgo. Pedro Sanchez salta per la seconda volta la tradizionale presentazione delle priorità della presidenza Ue di turno davanti agli eurodeputati riuniti a Strasburgo. Eppure, anche se il premier spagnolo non si fa vedere, la trattativa per trovare una maggioranza a Madrid si gioca nei corridoi del Parlamento europeo. L’assenza di un membro della presidenza di turno segna una frattura senza precedenti tra l’Eurocamera e il Consiglio, una frattura che mette a nudo le preoccupazioni sulla delicatezza della fase in corso a Madrid.

Preoccupazioni dovute anche al fatto che sarebbe impossibile camminare nei corridoi dell’Eurocamera senza incontrare il minotauro catalano che da anni lo attende a Strasburgo: Carles Puigdemont, il leader in esilio che dopo anni di silenzi e ombre è tornato prepotentemente al centro della politica spagnola e la scorsa settimana da Bruxelles ha dettato le sue condizioni per un’alleanza tra i socialisti e le forze indipendentiste catalane, unica chance per Sanchez per rimanere alla Moncloa e non tornare alle urne, dove potrebbe non ripetersi il risultato di arginare le destre.

Tutte le strade portano a Carles dunque: “Sanchez ha bisogno di noi, se torna al voto e vince il PP e lui è finito, questo mi fa sperare che un accordo sia davvero possibile”, spiega al Foglio Toni Comi, altro eurodeputato catalano in esilio e braccio destro di Puigdemont. “Le nostre richieste sono pragmatiche e viaggiano su due velocità”, spiega Comin. “Esistono due negoziati. Il primo è politico, si gioca in queste settimane e  deve risolversi prima di una possibile investitura. Le nostre condizioni sono: amnistia e l’istituzione di una figura di un mediatore”. “L’amnistia è il punto di partenza e condizione minima”, aggiunge al Foglio Jordi Solé, eurodeputato dell’Esquerra Republicana de Catalunya. Il secondo negoziato, quello maggiore, si aprirà dopo l’investitura e a esecutivo già approvato. Il suo scopo è “la legittimità politica dell’indipendentismo catalano e un nuovo referendum”, continua Comin. Un nuovo referendum che però non andrà a sostituire quello vecchio: “Per noi il referendum dell’1 ottobre rimane valido ma siamo disponibili a organizzarne un altro come parte di un accordo”.

Sul fronte  europeo intanto si apre anche la battaglia per il riconoscimento del catalano, del basco e del galiziano come lingue ufficiali dell’Ue, battaglia che Sanchez dovrà intestarsi se questo esecutivo dovesse decollare e a cui Bruxelles inizia a guardare come una, remotissima, possibilità. L’argomento è arrivato anche dietro le porte chiuse della conferenza dei capigruppo lunedì sera a Strasburgo, portato dalla stessa presidente Roberta Metsola che inizia a sondare i gruppi. 

Certe condizioni  fino a pochi mesi fa sarebbero state considerate inaccettabili,  ma l’idea che Sanchez possa prenderle davvero in considerazione  è ormai più che una suggestione. E infatti le opposizioni spagnole a Strasburgo danno battaglia. Adrián Vázquez, presidente della Commissione giuridica dell’Eurocamera e segretario del quasi-estinto partito spagnolo Ciudadanos, ha scelto  proprio la giornata di ieri, in cui si celebrava la festa nazionale catalana della Diada, per chiedere alla presidente Roberta Metsola di sospendere credenziali e stipendio agli eurodeputati catalani per un vizio di forma legato al mancato giuramento sulla Costituzione spagnola che, secondo Vázquez, renderebbe invalido il loro mandato. “Fu un errore di Sassoli accettare che saltassero  il giuramento”, spiegano fonti interne a Ciudadanos, “un errore che ci portiamo ancora dietro”. 
Sanchez a Strasburgo  prima o poi dovrà venire, “se firmano un accordo con noi qualcuno deve venire stringerci la mano davanti a fotografi”, dice Comin. “Vogliamo essere parte di una coalizione di governo a tutti gli effetti e trattati alla pari con gli altri alleati”. Stretta di mano che non può che avvenire a Strasburgo o a Bruxelles perché fino all’applicazione dell’amnistia Puigdemont, Comin e altri non possono mettere piede in Spagna. Se il capo del governo spagnolo dovesse decidere di far cadere la via giudiziaria, allora potrebbero tornare a casa da eroi, a patto che Sanchez sia così forte o così disperato da  riuscire a convincere il paese del prezzo del suo progetto politico.
 

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