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Negli Stati Uniti

L'ultima rivoluzione. Il trambusto nel mondo digitale coinvolge Disney e Charter

Stefano Cingolani

Le due società sono ai ferri corti e il pomo della discordia riguarda i contenuti in streaming. Ma lo scontro tra i produttori e i distributori fa parte di un quadro più ampio, in cui rientra anche lo sciopero di Hollywood

“La tv via cavo è arrivata alla fine del gioco”. Un attacco sportivo-militaresco non usuale per il Wall Street Journal che, anche dopo l’arrivo di Rupert Murdoch, ha mantenuto il suo storico aplomb. Le cifre, però, parlano chiaro: i sottoscrittori del principale operatore americano, Comcast, sono scesi da 21 a 15 milioni tra il 2020 e oggi, mentre YouTube Tv è passata da due a sei milioni. Da quando alla fine del 2012 Netflix ha lanciato “House of Cards” i clienti si sono ridotti a ritmo continuo, anno dopo anno (meno 7 per cento nel primo trimestre scorso); ma il colpo di grazia è arrivato nel momento in cui i colossi dell’intrattenimento come Warner Bros Discovery e Paramount hanno messo in streaming i contenuti a più alto valore aggiunto, cioè l’informazione e lo sport. Qui s’inserisce lo scontro in atto fra la Disney e la Charter Communications, seconda società a stelle e strisce che unisce telecomunicazioni e mass media. Apparentemente è una questione di prezzo (Charter paga a Disney oltre due miliardi di dollari annui), in realtà è l’ultima pagliuzza che spezza la schiena del cammello. Ogni anno i produttori di contenuti e i distributori via cavo negoziano le tariffe, trattative sempre difficili.

Questa volta Disney e Charter sono ai ferri corti, tanto che il colosso erede di “zio Walt” ha oscurato ben 19 canali tra i quali Abc ed Espn lasciando a bocca asciutta i 14 milioni di clienti Charter in 41 stati. Il pomo della discordia riguarda i contenuti in streaming che Disney vuol tener fuori dall’accordo mentre Charter chiede che i suoi clienti possano accedervi gratis, perché sostiene di pagare già un premio per questo. L’impasse secondo Forbes ha un forte impatto sia sulla tv via cavo sia su quella via streaming. Quest’ultima conta su un’audience del 38,7 per cento mentre la quota della prima è scesa al 29,6. L’equilibrio è cambiato, anche se non del tutto. I produttori di contenuti hanno bisogno che la cable tv sopravviva perché da essa traggono ricavi più sicuri, grazie ai quali possono sostenere lo streaming che è il futuro, ma perde miliardi di dollari l’anno. I distributori vedono le cose in modo ben diverso: la televisione tradizionale non tira più, ma non vogliono essere cannibalizzati, al contrario intendono ottenere la loro porzione della grande rete. Il gioco non è finito, dunque, ma si complica e in campo entra anche lo sciopero di Hollywood. I profitti accumulati dalle tv via cavo non sono andati certo tutti ai programmatori, ma hanno alimentato l’intero business, favorendo l’accesso di nuovi talenti. “Il mondo internet è molto meno benevolo con autori e attori, alimentando la loro richiesta di cambiamenti”, sostiene il Wall Street Journal.

Lo streaming è l’innovazione dirompente che sta trasformando in modo radicale l’informazione e l’intrattenimento. Il conflitto sindacale hollywoodiano, così come l’aspra contesa tra Disney e Charter, sono due manifestazioni di un’unica grande transizione. La rivoluzione industriale è una rivoluzione permanente, quella digitale è la sua più recente incarnazione. Essa non genera  solo vincitori e vinti, ma trasforma i vecchi mestieri, molti dei quali sono destinati a ridimensionarsi o a occupare una nicchia d’eccellenza abbandonando la produzione di massa, non a scomparire del tutto. La storia è una miniera di insegnamenti, anche se spesso sembra che si debba ricominciare sempre da capo. Nella stampa si è andati già molto avanti adesso tocca al cinema e alla tv. Il mercato americano è diverso da quello europeo e italiano, però i processi in corso sono simili. L’Italia televisiva è stata protetta prima dal monopolio statale, poi dal duopolio Rai-Mediaset che si è spartito la torta pubblicitaria e non è stato intaccato nemmeno dal passaggio al digitale terrestre bloccando l’espansione della tv satellitare.

L’avvento dello streaming anche qui sta facendo saltare tutti gli equilibri. La Rai resterà in piedi finché riscuoterà il canone e i suoi conti in rosso saranno pagati dai contribuenti? Non è scontato. Quanto a Mediaset, ora che gli eredi Berlusconi hanno raggiunto un accordo sulla divisione dell’eredità, dovrà trovare in fretta la sua strada. L’internazionalizzazione sulla quale punta Pier Silvio è una direzione di marcia obbligata, ma è solo un tempo della partita.

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