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L'analisi

Da Disney a Netflix, il collasso dei signori dello streaming. Indagine su una crisi

 Stefano Cingolani

Il mercato si è saturato presto e ha tutte le caratteristiche di una fase matura. “L’età d’oro potrebbe essere finita", scrive il Nyt. Un'industria che aveva creato posti di lavoro a più non posso, ora li distrugge. E non si tratta di difficoltà passeggere

Poche innovazioni sono state tanto distruttive in così poco tempo come lo streaming. L’ultima ricerca della Nielsen mostra che negli Stati Uniti il tempo trascorso nell’intrattenimento e nell’informazione via computer o telefonino è pari al 36 per cento rispetto al 31 via cavo e al 22,8 via etere. I titani di Hollywood piangono calde lacrime. I media tradizionali hanno perduto 20 miliardi di dollari dal 2020 a oggi scrive il Wall Street Journal. I consumatori sono rimasti contenti (almeno finché non hanno dovuto pagare), i lavoratori molto meno, in tanti hanno proprio perso il lavoro. Lo sciopero degli sceneggiatori che ha preso a bersaglio l’intelligenza artificiale è in realtà la manifestazione di un disagio più lontano e profondo. Ma anche i potenti signori degli studi cinematografici e televisivi hanno visto crollare i loro profitti. Parliamo di Paramount, Warner Bros. Discovery, Comcast e persino Disney. Anche se sono corsi a occupare un loro posto al sole di internet, non sono in grado di frenare la caduta. Dunque, ci sono i vinti e vincitori, come sempre. Ma allora perché abbiamo usato il passato, perché diciamo che lo streaming è stato distruttore, forse perché non lo è più? E cosa lo rimpiazzerà?

 

In realtà, ed è un’altra novità di questi tempi iperveloci, già dallo scorso anno si sono manifestati i segnali di una brusca frenata. La parabola di Netflix lo dimostra. Arrivata a un picco forse imprevedibile nel 2020 in piena pandemia, ha cominciato a rallentare fino a trovarsi di fronte a una riduzione degli abbonati che l’ha indotta ad aumentare le tariffe, provocando nuove disaffezioni. Una industria che aveva creato posti di lavoro a più non posso, si vede costretta a distruggerli, segnale evidente che non si tratta di difficoltà passeggere.

 

Il New York Times ha suonato le campane a lutto tre mesi fa: “L’età d’oro dell’intrattenimento in streaming potrebbe essere finita – ha scritto – Probabilmente non ci piacerà quello che succederà dopo. Presto potremmo pagare di più per scelte meno buone e rimpiangere l’era delle abbuffate gratis su internet”. Per coprire i costi gli operatori hanno aggiunto la pubblicità, così ci becchiamo anche gli spot su Netflix, Disney+ o Apple Tv, nemmeno fossimo alla Rai o a Mediaset. Tutti stanno tagliando i costi contraendo anche i prodotti, quanto meno riducono la quantità dell’offerta per concentrarsi sulla qualità. “La spesa totale per i contenuti dei servizi streaming in abbonamento, da Hbo Max, a Disney Plus e Netflix, continuerà ad aumentare dunque nel 2023, ma a un tasso dell’8 per cento invece della crescita vertiginosa del 25 per cento”, scrive una ricerca di Ampere Analysis. I servizi si concentreranno sempre più nei contenuti originali per competere su un mercato ormai super affollato. Proprio questa è una delle caratteristiche più eclatanti: il mercato si è saturato presto e ha tutte le caratteristiche di una fase matura, quella che in altre industrie impiegava molto tempo. Accadde persino con la rivoluzione digitale ai suoi inizi: prima che si saturassero i personal computer, poi gli iPod e infine gli smartphone, ci sono voluti anni anche se i tempi sono andati via via riducendosi. E’ successo quello che Andrew Grove, il vecchio boss di Intel, ungherese americano, scriveva già nel 1996: questa tecnologia evolve a un ritmo esponenziale concludendo con la sua solita verve che “solo i paranoici sopravviveranno”.

La “paranoia” ha colpito il cinema, la tv e ora sta facendo passi da gigante anche nello streaming. Il Wall Street Journal mostra che si sta riducendo ovunque il numero di soggetti originali per le serie televisive. Disney taglia più degli altri, ma la tendenza è davvero generale. Ted Sarandos, coamministratore delegato di Netflix, sostiene che il problema non è spendere sempre più soldi, ma è l’impatto che si ottiene a parità di spesa. Quanto alla sua azienda, continuerà a investire il 25 per cento in prodotti originali sperando che siano ancor più originali e d’impatto esclusivo. Solo che la ricerca di una qualità sempre migliore non è un pranzo gratis, anche noi consumatori passivi dovremmo rendercene conto. Vale per lo spettacolo come per l’informazione. Occorre attrarre talenti, sperimentare tecniche nuove, accogliere cervelli e la concorrenza, per il capitale umano oltre che per le tecnologie, si fa tanto più serrata quanti più soggetti scenderanno in campo. Se vogliamo proprio usare l’abusata parola crisi, si tratta di una crisi da successo, un successo raggiunto molto in fretta che si consuma ancor più in fretta.

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