Wikimedia Commons 

Un mito da sfatare

Si guadagnerà pure tanto, ma dirigere un museo in America è un inferno

Francesco Bonami

Si deve essere disposti a trascorrere la propria vita con persone molto ricche ma nella maggior parte dei casi noiosissime, alle quali si è costretti a dire sempre sì per farsi dare i milioni con cui far funzionare l'istituto. Un lavoraccio
 

Recentemente, il New York Times ha pubblicato un articolo dal titolo “Lavori da sogno nel mondo della cultura e quanto si guadagna per farlo”. Il pezzo offriva ai lettori l’opportunità di sapere quanto guadagnano i direttori dei più importanti musei americani.

Un segreto di Pulcinella visto che per statuto le istituzioni culturali in America devono rendere pubblici i propri conti, compresi gli stipendi. Un po’ come ha fatto Fassino alla Camera qualche tempo fa. Le cifre pubblicate hanno scatenato un dibattito fra i moralisti – gli esclusi dal succulento indotto economico del mondo dell’arte – e gli arrivisti, quelli che sognano di diventare direttori di un museo. Quello che guadagna di più è il direttore del Moma, Museum of Contemporary Art di New York, due milioni di dollari l’anno lordi più benefit. Deve gestire, e trovare, 248 milioni l’anno per mandare avanti la baracca.

Chi guadagna di meno, si fa per dire, è colui che dirige il Perez Art Museum di Miami, 548 mila dollari all’anno, ma al museo bastano solo 18 milioni per andare avanti. Paragonate ai direttori dei musei europei, le cifre americane sono veramente da sogno. Basti pensare che il direttore della Tate a Londra, un museo enorme e paragonabile al Moma, ha uno stipendio con uno zero in meno rispetto a quello del collega newyorchese, che considerato il costo della vita londinese è come se ne avesse due in meno. Detto questo, oggi essere direttore di un museo americano è un lavoraccio. Un tempo non era così. E’ sufficiente ricordare lo zar Thomas Krens, che per vent’anni fece il bello e il cattivo tempo, non solo come direttore del museo Guggenheim, andando in giro per il mondo a convincere città e nazioni a costruire a loro spese succursali del suo museo, ma anche come innovatore nel sistema museale globale. Se oggi un museo è costretto a pensare solo ai soldi, al numero di spettatori e a costruire nuove ali o addirittura nuovi edifici, anziché pensare alle mostre e all’arte, la colpa è del signor Krens. Che comunque, nonostante il suo potere infinito e il suo successo (reale o virtuale che fosse), un giorno fu mandato via perché un signore, che aveva dato 77 milioni al museo, decise che la politica espansionista di Krens fosse troppo costosa e non più sostenibile. Se chiedete a un giovane artista o curatore millennial chi sia Tom Krens, non sa di chi stiate parlando.

Dirigere un museo americano, per quanto prestigioso possa sembrare, è diventato un mestiere infernale. L’arte, che dovrebbe essere l’epicentro degli interessi di un museo, è diventata quasi marginale, succube di interessi e problemi che non hanno quasi più a che fare con la creazione artistica. Intanto, se si vuole essere direttori di un museo (piccolo o grande che sia) si deve essere disposti a trascorrere la propria vita con persone molto ricche ma nella maggior parte dei casi noiosissime alle quali si è costretti a baciare il sedere per farsi dare i milioni con cui far funzionare il museo. Certo, in Europa il sedere da baciare è quello dei politici di turno, e su questo non saprei dire quale dei due ha il sapore peggiore. Del politico però si può sperare la disgrazia elettorale mentre del magnate solo la disgrazia fisica. Non solo, è successo ai direttori del Moma e del Metropolitan che, dopo aver baciato e ribaciato i glutei di qualcuno, si scoprisse che questo era probabilmente un serio molestatore di fanciulle forse minorenni o un produttore di farmaci letali, al punto che obtorto collo si dovette rinunciare ai milioni e cambiare marciapiede quando il soggetto cammina nella medesima direzione.

Questo vale per quanto riguarda la parte economica. Chi poi oggi dirige un museo deve sapere gestire correttezza politica, di genere, etnica e razziale. La propria correttezza e quella delle centinaia di suoi sottoposti. Usare la parola ghiaccio con un curatore inuit o rifiutare la mostra di un artista sessualmente fluidissimo può farti finire sulla graticola, se non addirittura in un tribunale. L’Art Institute di Chicago ha dovuto cancellare una piccola mostra di fantastiche ceramiche Mimbres, una popolazione nativa americana del New Mexico scomparsa misteriosamente e quasi all’improvviso attorno al 1130 dopo Cristo, dopo che una sedicente antenata dei Mimbres ha protestato perché i vasi funerari potevano essere quelli della trisavola. Un po’ come se io, toscano doc, facessi chiudere una mosca sugli Etruschi perché mia nonna era di Tarquinia. Se volete dirigere un museo in America fate i vostri calcoli, il gioco forse non vale la candela e in ogni caso informatevi bene di che materiale è fatta la candela. E soprattutto da dove viene.

Di più su questi argomenti: