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In Turchia

Cosa vuole Erdogan dall'Unione europea? Utilità e dipendenze

Mariano Giustino

Il commissario Ue per il Vicinato e l’Allargamento ha incontrato il governo turco: il dialogo è pragmatico ma imprescindibile. Ankara è concentrata sui suoi interessi nazionali ma ha bisogno di buone relazioni economico-commerciali con Bruxelles

Dopo le vittoriose elezioni parlamentari e presidenziali dello scorso maggio del leader turco Recep Tayyip Erdogan, la differenza di approccio della Turchia con l’occidente sta attirando l’attenzione di molti osservatori internazionali. Erdogan vuole riconquistare la città di Istanbul nell’appuntamento elettorale del marzo 2024 e sa di non avere tempo da perdere nel reperire risorse esterne per uscire dalla crisi economica che attanaglia il paese. L’istituto di statistica turco, Tüik, ha appena annunciato un’inflazione al 59 per cento e, come è emerso dal recente incontro a Sochi, in Russia, Erdogan sta bussando non solo alle porte delle capitali dei paesi del Golfo, ma anche a quella di Vladimir Putin per farsi condonare il pagamento arretrato delle forniture di gas ricevute e per ottenere un forte sconto su quelle future.  

Ieri Oliver Varhelyi, commissario Ue per il Vicinato e l’Allargamento, si è recato ad Ankara per una visita di due giorni nel tentativo di migliorare le relazioni con il governo turco. Nella conferenza stampa con il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, Varhelyi ha detto che è necessario ravvivare l’amicizia e il partenariato con la Turchia. Questa visita precede la pubblicazione della relazione annuale sullo stato dell’allargamento, prevista per ottobre, sul processo di adesione della Turchia, che più che congelato, sembra morto. 
  
La Turchia cerca di migliorare le proprie relazioni con l’Ue al fine di ricostruire la fiducia tra gli investitori occidentali e negoziare un trattato di unione doganale ammodernato, e ottenere la liberalizzazione dei visti di ingresso per i cittadini turchi nell’area Schengen, ma ciò comporterebbe l’impegno da parte turca di soddisfare tutti i parametri di riferimento richiesti dall’ordinamento Ue per la legge antiterrorismo – che a oggi è ancora largamente estensiva e  colpisce soprattutto l’opposizione e tutti i dissidenti. Erdogan però di migliorare quella legge non vuole sentir parlare. L’ampliamento degli accordi di unione doganale è in vigore dal 1996 ma sono escluse intere gamme di prodotti e di servizi, così come la liberalizzazione dei visti:  due priorità per Ankara che favorirebbero l’afflusso di maggiori investimenti e una maggiore crescita. 

Ankara, una volta incassata la vittoria elettorale ha abbandonato la sua retorica fortemente aggressiva verso l’occidente, ha messo da parte la cosiddetta “diplomazia delle cannoniere”, in particolare nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo con le sue dispute con Cipro e Grecia, nel tentativo di ricalibrare i suoi rapporti con Bruxelles e Washington. Questo non è da intendere come un allontanamento dalla sua visione verso est: si tratta semplicemente di una risintonizzazione della strategia turca che ha bisogno, per ragioni interne, di ripristinare la fiducia e buone relazioni economico-commerciali in particolare con l’Ue. Erdogan  sa che né la Russia né i paesi del Golfo sono sufficienti, e con un export verso l’Ue che raggiunge il 60 per cento, ha bisogno di rinfrescare i rapporti con i partner europei. 

Anche con la Grecia sembra essere iniziata un’èra nuova e positiva: i leader dei due paesi, usciti entrambi vittoriosi dalle elezioni, non hanno più bisogno di alimentare la retorica nazionalista e sono tornati a un sano pragmatismo per riaprire i canali di dialogo interrotti  per giungere ad accordi risolutivi  sulle isole greche dell’Egeo prospicienti la costa turca, sulla limitazione dei confini marini e sullo sfruttamento energetico dei fondali pertinenti. Erdogan, al di là della propagandistica aspettativa di ingresso, in realtà non cerca più l’adesione all’Ue che di fatto ha abbandonato costruendo un regime autocratico, vuole imporre relazioni transazionali anche con Bruxelles. Il leader turco vuole tenere lo stato di diritto e i diritti umani fuori dalle relazioni bilaterali e concentrarsi su obiettivi che ritiene salvaguardino gli interessi nazionali del suo paese. Ankara non intende però neppure cambiare campo allontanandosi dalla Nato per avvicinarsi all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, al contrario, vuole mantenere un piede in ogni campo espandendo la sua influenza anche in Africa, medio oriente e Asia centrale. L’Unione europea sembra aver preso atto di ciò e cerca con Ankara il pragmatismo, evitando di porre al centro del dialogo la questione dei diritti umani. Le ambizioni regionali e il transazionalismo di Erdoğan rendono possibile una relazione produttiva con l’Unione europea in particolare nel settore della sicurezza e come argine all’afflusso di rifugiati verso l’Europa. 

La Turchia si trova quindi al centro di molte sfide chiave di politica estera, non solo per Washington, ma anche per l’Ue. La sua posizione strategica sul Mar Nero, che collega la Russia, il medio oriente e l’Europa, rende il paese un attore importante nella guerra in Ucraina e fondamentale per gli sforzi dell’occidente per contenere le ambizioni di Putin.

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