Zelensky incontra gli alleati in attesa dell'autunno di guerra

Micol Flammini

Il viaggio del presidente ucraino tra Svezia, Paesi Bassi, Danimarca e Grecia è servito a mostrare che l'Ucraina non è isolata e si prepara a rispondere a Mosca. A Putin i siloviki non chiedono di porre fine all'invasione, ma di portarla avanti con una nuova mobilitazione e cambi ai vertici 

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha ringraziato gli Stati Uniti per la decisione di fornire gli F-16, e dopo l’ultimo viaggio in Europa, che era stato a luglio, per partecipare al vertice della Nato a Vilnius, negli ultimi giorni è stato in Svezia, nei Paesi Bassi e in Danimarca, ha guardato da vicino i jet che l’esercito ucraino tanto desidera per proteggere meglio le città dai bombardamenti di Mosca, ha sorriso, stretto mani e ancora ringraziato. Nella conferenza stampa con la premier danese, Mette Frederiksen, un giornalista gli ha domandato cosa ne pensasse della proposta di cedere parte del territorio occupato dai russi in cambio di garanzie di sicurezza e dell’accesso alla Nato. Zelensky ha risposto che gli ucraini sono pronti a scambiare Belgorod per diventare membri dell’Alleanza atlantica, e il suo volto era così serio che i presenti hanno impiegato del tempo per capire che il presidente stava scherzando. Belgorod è in Russia, ma sotto allo scherzo comunicava che la posizione dell’Ucraina non è cambiata: Kyiv combatte per tutto il suo territorio compreso nei confini del 1991. Il tour di Zelensky non era il viaggio di un leader isolato, che non può contare sui suoi alleati, o preoccupato di piani di pace forzosi tramati alle spalle di Kyiv. Dopo essere stato in Danimarca, Zelensky è atterrato ad Atene, dove ha incontrato i vertici europei. Non era mai stato in Grecia, così ha aggiunto la visita a un paese che in questi mesi ha fornito mezzi, fucili e munizioni. L’incontro ad Atene è stato più diplomatico che militare, organizzato per parlare di allargamento dell’Ue verso i  Balcani.  L’Ucraina ha ricevuto lo status di paese candidato, è in attesa della valutazione di Bruxelles sui passi avanti compiuti finora, arriverà a ottobre, ma la presenza di Kyiv ad Atene era un segnale di unità. L’altro segnale di unità e di visione è arrivato dagli Stati Uniti, da una rivelazione del Washington Post che dopo aver raccontato, la scorsa settimana, le previsioni di alcuni funzionari americani sugli obiettivi mancati della controffensiva ucraina, ha invece riportato dell’intenzione degli Stati Uniti di aumentare la produzione e le spedizioni di munizioni. Nessuno vuole costringere Zelensky e gli ucraini a trattare, l’alleanza è sempre la stessa, non è cambiata. A Kyiv si rendono conto che la guerra non finirà a breve, soprattutto se c’è da sminare a ogni passo, se la Russia si prepara all’autunno. 

 

Secondo Bloomberg, i soloviki, gli uomini più influenti delle agenzie di intelligence, della sicurezza, ma anche del mondo degli affari, hanno chiesto al presidente russo, Vladimir Putin, di fare quello che Evgeni Prigozhin chiede da tempo: rimuovere il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore e capo delle operazioni in Ucraina Valeri Gerasimov. Mosca vuole ripensare la guerra, non certo porle fine, e che siano gli uomini più influenti che stanno attorno al presidente a chiederlo, dice molto anche su cosa è disposta a fare la Russia. E’ disposta, per esempio, a una nuova mobilitazione – così chiedono i siloviki citati da Bloomberg – che però non sia soltanto “parziale” come quella annunciata da Putin a settembre dello scorso anno, ma coinvolga tutta la popolazione. La decisione è stata a lungo rinviata dal Cremlino, la mobilitazione ha eroso parte del consenso del presidente, ma la base legale per una nuova chiamata alle armi esiste già, e poco importa se ancora la guerra si chiami “operazione militare speciale”, in pochi continuano ad  attenersi   alle linee lessicali del Cremlino.  Alcuni analisti dicono che gli attacchi dei droni ucraini potrebbero essere usati come cavillo legale per giustificare la mobilitazione generale, che secondo la Costituzione russa può avvenire in caso di attacco, ma nuovi soldati non risolverebbero i problemi legati alla difesa russa. Sarebbero utili in Ucraina, sul campo di battaglia, dove anche il numero, se non la qualità, fa la differenza. Ma i droni ucraini continueranno a colpire obiettivi in Russia: ieri hanno centrato una base di Tu-22. 

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.