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l'analisi

Golpisti e antigolpisti, ecco cosa succede tra i paesi attorno al Niger

Francesco Petronella

Gli schieramenti, gli interessi, i precedenti e la rivalità tra Stati Uniti, Cina e Russia. Una mappa della stabilizzazione

Il colpo di stato in Niger è solo l’ultimo tassello di un filone golpista nel Sahel, iniziato in Sudan nel 2019 e passato per Ciad, Guinea, Mali e Burkina Faso nel triennio 2020-22. A una settimana dall’ammutinamento, che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum affidando la guida del paese al 62enne generale Abdourahmane Tiani, spesso chiamato Omar, iniziano lentamente a delinearsi quelli che sono gli schieramenti in campo. Il generale Tiani è apparso in un discorso televisivo alla nazione, rivendicando il merito, suo e della giunta,  di aver rovesciato “il regime di Bazoum”, della cui sicurezza il militare era stato responsabile fino a pochi giorni prima. Lo stesso Omar, infatti, aveva salvato il capo dello stato da un altro tentativo di golpe andato a vuoto a marzo del 2021. La presidenza di Bazoum, ex maestro di scuola eletto a capo dello stato due anni fa, aveva reso il Niger una sorta di “eccezione democratica”, in una regione come quella subsahariana segnata da una lunga tradizione militarista e autoritaria. Infatti, il suo predecessore Mahamadou Issoufou era stato un raro esempio di capo di stato regionale ritiratosi in buon ordine al termine del mandato presidenziale, senza cedere a tentazioni autoritarie. Era la prima volta che accadeva, sin da quando il paese saheliano ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960. La situazione al momento è ancora abbastanza fluida, anche se lo scenario sembra destinato a farsi via via più chiaro. “E’ ancora abbastanza complesso capire chi appoggia il colpo di stato e chi invece non è disposto ad accettare il cambio della guardia a Niamey”, spiega al Foglio Luca Saviolo, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “Fondamentalmente tutte le potenze internazionali come Cina, Russia, Stati Uniti e Unione europea hanno condannato, seppur con toni variabili, il colpo di stato; lo ha fatto  anche  la Francia, che è un paese chiave dal punto di vista europeo in Africa”, spiega lo studioso. Per l’Ue, in particolare, il rovesciamento di Bazoum è stato un colpo molto duro, se si pensa che solo a inizio luglio l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Ue, Josep Borrell, era stato in visita in Niger, elogiandolo come un esempio di stabilità e proficua partnership fra le due sponde del Mediterraneo. Il paese africano è da tempo il perno della strategia europea di esternalizzazione delle frontiere, che punta a frenare i flussi di immigrazione irregolare non solo nelle acque del Mediterraneo o nei paesi rivieraschi come Libia e Tunisia, ma anche nelle zone di transito nel Sahel. “Il Niger – spiega ancora Saviolo – è un partner strategico per l’occidente e in particolare per Parigi e Bruxelles, sia dal punto di vista politico sia  economico”. Di mezzo c’è l’estrazione dell’uranio nigerino, che va ad alimentare gli impianti nucleari europei e sopratutto francesi. “Questo, però, pone problemi più nel lungo periodo che nel breve termine”, puntualizza Saviolo. “Il Niger è diventato il centro dell’azione strategica di Parigi in Africa dopo che, nel 2022, è terminata la missione francese in Mali”. 

 

In arancione i paesi africani che compongono la striscia del Sahel 

 

Se la presenza europea in campo si concretizza anche con missioni e partnership militari come l’Eupm (European partnership mission in Niger), non bisogna dimenticare anche il ruolo nell’area degli Stati Uniti, attivi soprattutto per tenere a bada il fiorente movimento jihadista locale. Secondo il Global Terrorism Index, infatti, il Sahel ha superato il medio oriente e l’Asia meridionale come epicentro globale della violenza jihadista, con il 43 per cento dei 6.701 morti in attentati e azioni di guerriglia nel 2022, rispetto all’1 per cento  registrato nel 2007. “Gli Stati Uniti  hanno una base molto importante ad Agadez, nell’area centrale del Niger (con più di mille effettivi dispiegati sul campo,ndr) ma forse meritano un discorso a parte”, argomenta l’esperto. “Washington ha condannato il colpo di stato, senza tuttavia riconoscerlo apertamente come tale: questo implica che, ad esempio, a differenza dell’Unione europea gli Stati Uniti non hanno congelato gli aiuti umanitari al Niger dopo la deposizione di Bazoum”, aggiunge Saviolo.

Nelle discussioni degli ultimi anni sull’Africa, uno dei grandi temi è stato quello della penetrazione cinese in varie zone del continente. Pechino, forte della sua stazza economica, si è inserita a più livelli nel tessuto produttivo e infrastrutturale di molti paesi africani, tra i quali anche il Niger. “La Cina ha condannato formalmente il colpo di stato, ma c’è da aspettarsi che lavorerà principalmente per tutelare i propri interessi sia nel paese che nella regione”, spiega lo studioso. E’ altamente probabile, in questo senso, che a Pechino non vedano di buon occhio una possibile destabilizzazione dell’area, che giocoforza nuocerebbe agli affari. Decisamente più complessa è invece la situazione per la Russia, anche alla luce dello scontro intestino fra il governo di Mosca e la “scheggia impazzita” rappresentata dal gruppo paramilitare Wagner. “I russi hanno condannato il colpo di stato in Niger, ma nelle ore successive hanno fatto il giro del mondo le immagini di manifestanti pro golpe che sventolavano bandiere russe e inneggiavano a Vladimir Putin esprimendo un forte sentimento antifrancese”, osserva Saviolo. La Wagner è il principale strumento d’influenza russo nel Sahel, ma finora non è presente  in Niger mentre già agisce in  Mali e Burkina Faso. Sta di fatto che il capo di Wagner, Evgeni Prigozhin, non ha perso occasione per definire il colpo di stato a Niamey “una battaglia del popolo del Niger contro i suoi colonizzatori”. Tuttavia “al momento non ci sono elementi per dire che la Russia abbia giocato un ruolo attivo all’interno del golpe: qualche speculazione, ma nulla di concreto”, chiosa Saviolo.

Il colpo di mano militare ha fatto del Niger la cinghia di collegamento per quella che gli osservatori internazionali, come Declan Walsh del New York Times, chiamano ormai abitualmente “cintura golpista”. Questa fascia di paesi – procedendo da ovest verso est – è oggi formata da Guinea, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Sudan, che cingono la fascia subsahariana quasi nella sua interezza. Alcune delle leadership di questi paesi, non a caso, sembrano a oggi le più propense a riconoscere la nuova giunta nigerina. Particolarmente solida è  la posizione pro golpe (e filorussa,ndr) di Mali, Guinea e Burkina Faso. Dall’altra parte della barricata, invece, si schierano sia l’Unione a fricana che la Cedeao (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), una partnership regionale incentrata su economia e sicurezza di cui fanno parte,  fra gli altri, paesi come Senegal, Ghana e soprattutto Nigeria, il vero peso massimo dell’area a livello demografico, economico e militare. “La Cedeao ha  detto di essere  pronta a utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione, incluso l’intervento armato, per ripristinare la presidenza di Bazoum”, spiega Saviolo. “Questo ha scatenato una serie di reazioni e di tensioni in particolare da Mali, Burkina Faso e Guinea (tutti sospesi dalla Cedeao dopo i rispettivi colpi di stato,ndr) che hanno chiarito come un attacco al Niger sarà considerato un attacco anche alla loro sovranità”, argomenta ancora lo studioso. Nella “cintura golpista”, però, c’è anche chi si muove in direzione opposta. Il leader del Ciad, Mahamat “Kaka” Idriss Déby Itno, si è recato in missione a Niamey, dove è stato il primo a incontrare sia il deposto presidente Bazoum sia i golpisti. Déby Itno ha chiarito che il suo obiettivo è “esplorare tutte le strade per trovare un’uscita pacifica alla crisi”. La missione si è svolta per conto della Cedeao, che domenica scorsa ha dato una settimana di tempo alla giunta di Niamey per ripristinare l’ordine costituito e far tornare Bazoum al suo posto. Un ultimatum, questo, che si avvicina inesorabilmente alla scadenza. “La possibilità di un intervento armato della Cedeao in Niger – conclude Saviolo sul punto – resta ancora molto bassa, alquanto improbabile”. 

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