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Il Summit

America latina in ordine sparso sull'Ucraina. Vedi punto 15

Maurizio Stefanini

Il vertice Ue-Celac ha incluso anche Kyiv nella sua dichiarazione finale al numero 15 dei 42 punti. Non era affatto scontato data la presenza di clienti di Putin tra cui Cuba, Venezuela e Nicaragua

“Esprimiamo profonda preoccupazione per la guerra in corso contro l’Ucraina, che continua a causare immense sofferenze umane e sta esacerbando le fragilità esistenti nell’economia globale, limitando la crescita, aumentando l’inflazione, interrompendo le catene di approvvigionamento, aumentando l’insicurezza energetica e alimentare e aumentando i rischi per la stabilità finanziaria. In questo senso, sosteniamo la necessità di una pace giusta e sostenibile. Ribadiamo ugualmente il nostro sostegno all’Iniziativa per i cereali del Mar Nero e gli sforzi del segretario generale dell’Onu e per assicurarne l’estensione. Sosteniamo tutti gli sforzi diplomatici volti a una pace giusta e sostenibile in linea con la Carta dell’Onu”. Così, alla fine, il vertice Ue-Celac ha incluso anche l’Ucraina nella sua dichiarazione finale: al numero 15 dei 42 punti. Non era affatto scontato. “Gli stati membri dell’Unione europea possono nutrire comprensibili preoccupazioni per la situazione in Ucraina, ma questo vertice non deve diventare un altro inutile campo di battaglia per discorsi su questo tema, che è stato e continua ad essere affrontato in altre sedi più rilevanti”, aveva detto il presidente di turno della Celac Ralph Gonsalves, primo ministro di un paese di 109.000 abitanti, Saint Vincent e Grenadine, che si è trovato a gestire un incontro rappresentativo di un miliardo di persone, due blocchi che uniti valgono il 21 per cento del pil globale con il 14 per cento della popolazione. Il “compagno Ralph”, come lo chiamano, oltre che autore di testi sul marxismo-leninismo e sullo “sviluppo non capitalista”,  è dal 2001 alla testa di un paese che allo stesso tempo ha re Carlo III come capo dello stato, ha relazioni con Taiwan e fa parte dell’Alba Alleanza Bolivariana delle Americhe: e lui ha sia una decorazione di Taiwan sia una cubana. Personaggio evidentemente abile nel trattare, il suo “non parliamo dell’Ucraina” puntava sul fatto che, a parte una quota di investimenti esteri europei nei paesi Celac di 700 miliardi di euro e uno scambio commerciale di oltre 300 miliardi, all’Europa le materie prime latino-americane fanno comunque gola. Pur di sottrarne il più possibile ai cinesi si è dunque fatto buon viso a cattivo gioco invitando anche regimi come quelli di Daniel Ortega e Maduro. E con Maduro Macron e il presidente argentino Fernández hanno anche tentato una mediazione, non riuscita. Dunque, il Venezuela resta sotto sanzioni, in attesa di vedere se le prossime elezioni si terranno in modo un minimo corretto. 

La Celac, però, si presentava in ordine sparso. Sono infatti clienti di Putin Cuba, Venezuela e Nicaragua, che hanno impedito l’invito di Zelensky al vertice. Al di là di battute infelici e slogan pacifisti, Lula più che altro tende a salvaguardare gli affari del Brasile con la Russia, come faceva anche Bolsonaro. Ma il cileno Boric e anche l’argentino Fernández a Zelensky hanno dato appoggio, per lo meno a parole. E il colombiano Petro prima ha detto anche lui che era meglio non mandare armi; ma poi ha protestato per il missile sulla pizzeria di Kramatorsk in cui lo scrittore Hector colombiano Abad Faciolince, l’ex negoziatore di pace Sergio Jaramillo e la giornalista Catalina Gómez sono rimasti feriti mentre mangiavano assieme alla scrittrice Victoria Amelina, che  è stata uccisa. Alla fine, insomma, l’Ucraina è andata nella dichiarazione finale.

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