Foto Ansa

divisione

Il sogno d'unità di Mélenchon è già una lite via l'altra (sulle europee)

Mauro Zanon

Sembra ormai ai titoli di coda il progetto di un "campo largo" per la sinistra francese. Gestione delle rivolte, riforma delle pensioni e posizioni pro-Cina sono gli elementi della discordia

Nupes, una sigla che faceva sognare e sperare, che faceva scrivere a Libération che la sinistra era unita come ai tempi della gauche plurielle di Lionel Jospin, ma che oggi, dopo solo un anno, è già sinonimo di divisione, litigi e scontri di ego. La Nupes, Nouvelle union populaire écologique et sociale, ossia l’alleanza di socialisti, ecologisti e comunisti all’Assemblea nazionale guidata da Jean-Luc Mélenchon, festeggia il suo primo anniversario in un clima di  tensioni tra i quattro partiti che la formano, France insoumise, Partito socialista, Europe Écologie les Verts e Partito comunista francese, tanto che il Monde si chiede se non stia già vivendo il suo “canto del cigno”. 

Nelle ultime settimane, le crepe sono diventate voragini su molti temi, dalla gestione dell’affaire Nahel alla strategia da adottare in vista delle elezioni europee del 2024. Il comportamento tenuto da Mélenchon e dai suoi compagni di partito durante le rivolte delle banlieue, con accuse alla polizia francese di violenza endemica e razzismo strutturale, accanto al rifiuto di lanciare un appello alla calma, hanno lasciato il segno nella coalizione. “I cani da guardia ci ordinano di lanciare un appello alla calma. Noi lanciamo un appello alla giustizia. Ritirate l’azione giudiziaria contro il povero Nahel. Sospendete il poliziotto assassino e il suo complice che gli ha ordinato di sparare”, ha twittato Mélenchon il giorno dopo il dramma. Dichiarazioni che hanno fatto sobbalzare gli altri leader della Nupes. Olivier Faure, segretario nazionale del Partito socialista, è  “profondamente in disaccordo” con quanto affermato dal frontman della France insoumise e lo ha accusato di soffiare sul fuoco e di alimentare una pericolosa retorica anti poliziotti che non può essere difesa da un rappresentante della République. Sulla sua scia, Fabien Roussel, leader del Partito comunista francese: “Mi dissocio dalle dichiarazioni fatte da Jean-Luc Mélenchon e da certi Insoumis, che si sono rifiutati di invitare alla calma. Alcuni si sono spinti fino ad affermare che queste violenze sono legittime, giustificandole”. Roussel è il critico più severo di Mélenchon e della sua strategia della radicalità. “Vorrei poter incarnare una sinistra di trasformazione sociale, che rimette in discussione questo sistema economico, ma che non cede nemmeno di un centimetro sui valori della nostra République. Questa sinistra non è quella rappresentata dalla France insoumise”, ha tuonato Roussel lo scorso 9 luglio. 

La spaccatura più importante, quella che fa dire alla maggior parte degli osservatori parigini che la Nupes ha i giorni contati, è sulle europee. Il movimento di Mélenchon milita per una lista unica col marchio Nupes: idea fortemente osteggiata dagli ecologisti. Marine Tondelier, capa dei Verdi francesi, ha manifestato a più riprese l’opposizione del suo partito a una lista comune in vista delle elezioni del 2024, e ha già designato la capolista green, Marie Toussaint. Lo stesso hanno fatti i comunisti che hanno indicato il nome di Léon Desfontaines. Le relazioni tra i quattro membri della Nupes hanno cominciato a degradarsi durante la parentesi della riforma delle pensioni. Il pomo della discordia? L’articolo 7 della riforma, quello che conteneva l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. I mélenchonisti, presentando 13 mila emendamenti, hanno fatto ostruzione parlamentare impedendo l’esame del testo e il voto dei deputati su questo articolo che giudicavano troppo rischioso, provocando la collera delle altre sinistre e di una parte dei sindacati che avrebbero preferito avviare un dibattito approfondito. “Bisogna fare uno sforzo per passare dalla France insoumise alla Nupes”, denunciò la deputata ecologista Sandrine Rousseau, puntando il dito contro la strategia in solitaria dei mélenchonisti. 

Le prime discrepanze, in realtà, erano già emerse dopo il rifiuto, da parte della France insoumise, di votare una risoluzione che riconosceva l’Holodomor come un genocidio, e i discorsi pro cinesi di Mélenchon. Su tutti: “C’è una sola Cina. Taiwan è parte integrante della Cina”. L’esternazione spinse il segretario socialista, Olivier Faure, a bacchettare il capo della France insoumise: “Non bisogna fare alcuna eccezione quando si tratta di difendere la democrazia e i diritti umani”. Una linea rossa di presentabilità che non può essere oltrepassata nemmeno a parole.

Di più su questi argomenti: