Niente Nato in Giappone. Ecco perché

Giulia Pompili

La Francia si oppone all'apertura di un ufficio dell'Alleanza nell'Indo-Pacifico, eppure Tokyo è una vittima piuttosto evidente della partnership russo-cinese

Per più di quarantotto ore il porto di Nagoya, uno dei più importanti e strategici del Giappone, è rimasto bloccato a causa di un attacco informatico. La situazione è tornata alla normalità solo venerdì scorso, mentre le autorità portuali contano i danni: l’infrastruttura della capitale della prefettura di Aichi gestisce il 10 per cento del commercio navale del paese, con un volume di traffico da due milioni di container l’anno, ed è cruciale per il colosso dell’automobile Toyota. L’attacco  sarebbe arrivato dal gruppo di criminali informatici provenienti dalla Russia che si chiama LockBit 3.0. Operano soprattutto attraverso attacchi ransomware, un software maligno che blocca il sistema in cui si infiltra, richiedendo il pagamento di un riscatto. Questo genere di attacchi informatici sono finalizzati  a un guadagno economico da parte delle gang  criminali, ma negli ultimi anni è stata notata, anche da studi accademici, una corrispondenza tra l’agenda politica del Cremlino e le attività di alcuni gruppi russi come LockBit.

 

Il Giappone, l’alleato più importante dell’America nell’area del Pacifico, è l’unico paese a subire contemporaneamente l’assertività e le provocazioni, anche militari, da parte di tre dei più importanti paesi della partnership dei cosiddetti paesi non allineati: Russia, Cina e Corea del nord. E il porto di Nagoya è la provocazione minore. 

 


Eppure, secondo quando rivelato ieri dal Nikkei, sarebbe ufficialmente rimandata la decisione sull’eventuale apertura di un ufficio della Nato a Tokyo, il primo in Asia orientale. Non se ne parlerà al Summit di Vilnius di questi giorni, nonostante la presenza del primo ministro giapponese Fumio Kishida e del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol – per la seconda volta  invitati a un summit della Nato. La discussione è rimandata a data da destinarsi, e il motivo è la Francia: per l’apertura di un nuovo ufficio, come per tutte le decisioni interne alla Nato, è necessaria l’unanimità, e su questo il governo francese di Emmanuel Macron è stato categorico: l’apertura di un ufficio di rappresentanza diplomatica in Giappone, con la finalità di garantire una comunicazione diretta nella zona dell’Indo-Pacifico, sarebbe “inopportuna”. Il rischio è quello di infastidire la Cina, che si è opposta sin dall’inizio all’eventualità di una “espansione della Nato nel Pacifico”. Secondo diversi osservatori, Macron sta lavorando a un appeasement con la Cina non solo per ottenere una via preferenziale nel business con la seconda economia del mondo, ma anche nel tentativo di usare la propria influenza su Pechino contro Mosca. 

 

Nel frattempo però in Asia orientale la partnership russo-cinese ha una conseguenza molto concreta e visibile. Il governo di Tokyo, sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, ha condannato la guerra e promosso dure sanzioni economiche contro Mosca, e nel maggio scorso, come paese ospitante della riunione dei leader del G7, ha costruito un’agenda delle riunioni sulla difesa dell’Ucraina – arrivando ad accogliere di persona il presidente Volodymyr Zelensky a Hiroshima – con un messaggio politico  chiaro: l’Ucraina di oggi potrebbe essere l’Asia orientale di domani. A fine marzo il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha annunciato il dispiegamento del sistema missilistico Bastion sull’isola di Paramusir, nell’arcipelago delle isole Curili settentrionali, un migliaio di chilometri a nord dall’isola giapponese di Hokkaido e nella stessa area delle quattro isole contese tra Russia e Giappone. Un dispiegamento “necessario”, ha detto  Shoigu, a causa della strategia “americana di contenimento di Russia e Cina”. A fine giugno la Duma ha approvato una legge per rinominare la festività del 3 settembre, quella che celebra la fine della Seconda guerra mondiale in Russia, come la “Giornata della vittoria sul Giappone militarista e della fine della Seconda guerra mondiale”, in un tentativo, ha detto il capo di gabinetto di Kishida, Hirokazu Matsuno, di aumentare il sentimento anti-giapponese in Russia. Di tanto in tanto, i jet giapponesi devono alzarsi in volo per le manovre provocatorie e pericolose dei bombardieri russi e cinesi in formazioni pericolosamente vicine al suo spazio aereo. 

 


Se fino a qualche anno fa il governo giapponese provava il dialogo con la Russia in funzione anticinese, “la guerra in Ucraina ha determinato un allineamento strategico più stretto e interazioni più frequenti a tutti i livelli tra la Nato e il Giappone”, ha scritto l’accademico Michito Tsuruoka sullo United States Institute of Peace. Anche se dovesse vincere la linea Macron sul non provocare la Cina, e non verrà aperto alcun ufficio Nato in Giappone, tenere fuori l’Indo-Pacifico dall’Alleanza atlantica è un’illusione. 
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.