(foto EPA)

partita a scacchi

Perché né America né Cina possono concedersi eccessivi strappi

Vittorio Emanuele Parsi

La sfida tra Washington e Pechino si giocherà su più fronti (bene) e in Ucraina (male, perché lì c’è una guerra da vincere). Comunque vada, sarà una competizione a lungo termine

Sempre meglio una partita a scacchi di una cruenta battaglia con morti e feriti. E’ questo il senso delle mosse di Washington e Pechino in questa fase delle loro relazioni. La posta in gioco non è rappresentata soltanto dalla leadership economica e politica del sistema globale ma anche dalle regole che dovranno governarlo. Pechino finge di ignorarlo e ripropone il suo messaggio di netta separazione tra affari e politica. Se gli Stati Uniti parlano di derisking e friend-shoring e cercano di far convergere su questa linea il mondo occidentale, la Repubblica popolare cinese illustra i rischi della de-globalizzazione e chiede la depoliticizzazione dell’economia.

 

Ovviamente la “fabbrica del mondo” avrebbe da perdere più di qualunque altro da una riduzione della globalizzazione che, in parte con ragione, definisce uno sviluppo irreversibile dell’economia mondiale. Per centrare l’obiettivo di una crescita del 5 per cento la Cina ha bisogno che i flussi di capitale e merci nelle due direzioni (entrata e uscita) continuino e semmai aumentino. Per quanto le riserve valutarie cinesi siano imponenti (stimate superiori a quanto dichiarano le autorità monetarie di Pechino) occorre che non si restringano gli investimenti occidentali nel paese del dragone, tanto in termini finanziari quanto in termini tecnologici e organizzativi.

 

Sotto la guerra sui microchip di ultima generazione e sui minerali rari necessari alla loro realizzazione si cela una partita molto più complessa. Washington ha posto un embargo rigido sui microprocessori evoluti e sta iniziando a fare qualche proselito anche oltre confine. Pechino ha replicato con il limite quantitativo temporaneo all’esportazione di gallio e germanio. La Cina è preoccupata che il derisking prenda piede anche in Europa: in questo senso la Commissione europea, per bocca di Ursula vor der Leyen, si è già espressa favorevolmente, anche se i grandi paesi manifatturieri dell’Unione (Germania, Italia e Francia) sono più restii a seguire. Peraltro, la quantità impressionante di materiale formalmente sottoposto a embargo ritrovato nei resti inesplosi di missili russi abbattuti dalla contraerea ucraina attesta della natura ineludibilmente politica della partita in corso. Se anche la Cina tenesse un comportamento ineccepibile riguardo alla protezione della proprietà intellettuale, alla tutela della proprietà privata, al rispetto della correttezza commerciale e alla trasparenza finanziaria (e non è così), basterebbe l’aggiramento delle sanzioni nei confronti della Russia a più che giustificare la volontà occidentale di adottare contromisure prudenziali efficaci nei confronti di Pechino.

 

Vero è, d’altronde, che ridurre il rischio e valorizzare più accuratamente il costo politico di relazioni economiche troppo strette con regimi ostili o potenzialmente tali è un conto, avviarsi verso il decoupling dell’economa globale è tutta un’altra storia: perdente, tra l’altro. L’economia globale contemporanea è figlia dell’intreccio tra le economie mature dei paesi occidentali e democratici con quelle delle economie emergenti dei paesi non democratici, Cina in testa. In un certo senso siamo “gemelli siamesi”, molto difficili da separare: vale per loro e vale per noi. Ciò non implica che la composizione della rivalità sia una conseguenza inevitabile, pone piuttosto dei vincoli ai giocatori, i quali sono comunque consapevoli che o continueranno a prevalere le regole di carattere occidentale e libero-mercatistiche che hanno fin qui governato (anche malamente talvolta) la globalizzazione o si imporranno quelle orientali e pseudo-mercatistiche coerenti con l’organizzazione del sistema politico cinese. A Pechino sono consci che il principale vincolo all’attrazione massiccia di investitori occidentali in Cina è rappresentato dalla tutela sempre parziale della proprietà privata e all’opacità del sistema finanziario: in sostanza, dal sistema politico a partito unico. Evidentemente, fin tanto che la Cina era in una condizione di inferiorità militare, vulnerabilità tecnologica e non centralità politica rispetto agli Stati Uniti, la superiorità americana funzionava come rinforzo di quelle garanzie di per sé insufficienti. Ma, paradossalmente, nel momento in cui Pechino diventasse il nuovo fulcro del sistema globale anche in termini politici proprio le contraddizioni e le lacune politiche rispetto al mondo degli affari potrebbero costituire un ostacolo insormontabile per tutti gli operatori non cinesi.

 

La leadership ha un costo, e gli Stati Uniti lo sanno bene, soprattutto nella sua fase di conquista e riconoscimento da parte degli altri, e non per caso essa viene normalmente ottenuta in conseguenza di guerre “costituenti” (la Seconda guerra mondiale per gli Stati Uniti). Nella partita a scacchi tra l’egemone in carica e il suo sfidante – nella cui logica va inscritta la visita della segretaria al Tesoro, Janet Yellen – Pechino sa di poter gestire con maggiore autorità gli eventuali malesseri sociali legati a uno scontro prolungato con gli Stati Uniti, le cui avvisaglie fatte di disoccupazione giovanile e scarsità di impieghi ben retribuiti per i neolaureati iniziano a farsi sentire. Per canto suo Washington sa di avere un potenziale di coalizione istituzionalizzato (fatto di Nato e G7) di gran lunga superiore, affidabile e rodato rispetto agli improvvisati forum composti dai Brics, Asean e via discorrendo. Finora, perlomeno. Ma le difficoltà americane a tenere compatto il fronte degli alleati (si pensi al tiepido sostegno francese, per usare un eufemismo, sulla questione di Taiwan) sono sotto gli occhi di tutti, così come anche la Cina deve cercare di non tirare troppo la corda delle sue capacità repressive se non vuole esporsi a proteste anche clamorose, come accaduto durante gli ultimi lockdown.

 

In ultima analisi, nessun giocatore può permettersi di rompere ma una composizione che soddisfi entrambi nella stessa misura è impossibile. Sarà una partita ancora lunga, che si articolerà su più campi di gioco (e questo è positivo, perché potrebbe consentire un bilancio in chiaro scuro per entrambi), compreso quello della guerra russa in Ucraina (e questo è negativo, perché quello è un campo di battaglia di una guerra vera che non possiamo permetterci di perdere).

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