tra usa e cina

"Dittatore". La parola tabù con cui Biden ha definito Xi non è una gaffe

Giulia Pompili

"Questo è motivo di grande imbarazzo per i dittatori, quando non sanno cosa sta succedendo”, ha detto il presidente americano parlando del pallone-spia abbattuto. Ventiquattro ore dopo la visita di Blinken a Pechino

A meno di ventiquattro ore dalla fine della visita del segretario di stato Antony Blinken a Pechino, quella in cui sembrava che l’America avesse cercato attentamente di non urtare la sensibilità cinese, tutto è cambiato di nuovo. Durante un incontro con i giornalisti a Kentfield, in California, Biden parlava di democrazia, governi autoritari e mondo che cambia, e ha detto: “Sapete, il motivo per cui Xi Jinping si è arrabbiato molto quando ho abbattuto quel pallone aerostatico pieno di materiale per lo spionaggio è che lui non sapeva che fosse lì”, ha sottolineato il presidente americano: “No, sono serio.  Questo è motivo di grande imbarazzo per i dittatori, quando non sanno cosa sta succedendo”. Il problema, naturalmente, è che ha messo il leader Xi Jinping nel gruppo generico dei “dittatori”. E non lo ha fatto in modo goffo o maldestro, o per un lapsus, lo ha fatto per un motivo politico. La portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, ai giornalisti ha detto oggi che le parole di Biden sono “assurde, irresponsabili, e sono in contrasto con i fatti e il protocollo diplomatico, e la dignità politica della Cina”. Di più: sono una “provocazione politica manifesta. E la Cina è duramente insoddisfatta della vicenda”. La reazione cinese legata al termine “dittatore” per definire un leader come Xi Jinping è stata molto più dura rispetto a quella sulla rivelazione fatta da Biden, ovvero che il leader stesso non fosse a conoscenza del sistema di spionaggio cinese su territorio americano attraverso i palloni spia. Su questo la funzionaria di Pechino ha soltanto detto che l’America ha ingigantito un incidente. Eppure era stato proprio per i palloni spia che le relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino si erano raffreddate ulteriormente, e la visita di Blinken degli scorsi giorni serviva appunto a riattivare i canali diplomatici. Pubblicamente, il segretario di stato era sembrato molto accomodante con la controparte cinese, sulle questioni legate a Taiwan e ai diritti umani, per esempio. 


A fine marzo del 2022, durante un discorso in Polonia, Biden aveva definito il presidente della Federazione russa Vladimir Putin un “dittatore macellaio”, e il giorno dopo il segretario di stato americano Antony Blinken aveva detto che il presidente aveva “semplicemente sottolineato che il presidente Putin non può essere autorizzato a fare la guerra o a impegnarsi in un’aggressione contro l’Ucraina o contro chiunque altro”. Secondo alcuni analisti, la strategia della diplomazia dell’Amministrazione Biden sembra avere come obiettivo quello di cambiare espressioni e termini fino ad allora considerati tabù, da un lato perché imposti dal protocollo, ma dall’altro anche dalla paura di un’escalation. Come quando, per quattro volte, il presidente americano ha detto che gli Stati Uniti difenderebbero militarmente Taiwan da un’aggressione militare cinese, anche se per tutte e quattro le volte, poi, la Casa Bianca ha minimizzato tornando al cosiddetto principio dell’ambiguità strategica.


La semplificazione che usa Biden è la stessa usata per molto tempo da Donald Trump, con qualche espressione colorita in meno. Nel 2016 Trump disse che la Cina stava “stuprando l’economia americana”, il suo segretario di stato Mike Pompeo due anni dopo atterrò lo stesso a Pechino e incontrò Xi. Nel 2020, durante la campagna elettorale, Biden aveva definito Xi un “delinquente” – ricordava oggi il Financial Times – aggiungendo che il leader cinese “non ha un solo osso democratico, con la d minuscola, nel corpo”, ma l’ha lo stesso incontrato due anni dopo a Bali.


Tecnicamente né Xi Jinping né Putin sono dittatori, almeno non nella definizione che danno gli scienziati politici: sono “eletti”, nel caso di Xi Jinping dalla burocratica liturgia del Partito unico, ma sono leader che hanno eliminato ogni limite al loro potere, centralizzato il processo decisionale, e quindi Biden semplifica a uso e consumo di chi ha ancora dei dubbi, definendoli dittatori.  E’ difficile dire se l’espressione di ieri avrà un effetto sul tentativo di dialogo iniziato da Blinken e su un potenziale incontro tra Biden e Xi in autunno. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.