Editoriali
Castrazioni e stupri, il metodo delle forze armate russe
Soldati ucraini prigionieri prima picchiati brutalmente e poi evirati dai russi, donne stuprate e “sigillate”. Non sono casi isolati
Per un mese, due soldati ucraini catturati dai russi e poi rilasciati in uno scambio di prigionieri non hanno detto una parola. Uno, 25 anni, ha tentato il suicidio, l’altro, 28 anni, ripeteva: è stato orribile. Poi hanno parlato con la loro psicologa: hanno detto di essere stati più volte picchiati brutalmente, poi sono stati castrati con un coltello. “Lo facciamo perché così non potrete più avere figli”, hanno detto i torturatori russi ai due prigionieri, che hanno raccontato che la castrazione era feroce ma fatta con un metodo: sapevano come farla, non era la furia di un momento. “Ho sentito di altri casi del genere”, ha detto la psicologa a Christina Lamb del Times. I due soldati insistevano per tornare a combattere, dicevano che era più semplice per loro stare in un posto dove non ci sono donne, dove non si pensa a innamorarsi, al sesso, a fare una famiglia – la guerra come cura dalle torture di guerra, come sfogo della guerra, “forse vogliono solo morire”, ha detto la psicologa che ha anche aggiunto: se non è genocidio questo, se non è genocidio impedire ai giovani ucraini di generare altri ucraini, ditemi voi cos’è. Le donne vengono stuprate e poi molte di loro vengono “sigillate” con i siliconi che servono a isolare i vetri delle finestre, un’altra pratica barbara che punta a distruggere la dignità umana e che avviene contro le ucraine soltanto in quanto ucraine.
L’anno scorso, a luglio, era circolato il video di una castrazione di un soldato ucraino: un filmato inimmaginabile che era sembrato però un episodio mentre i russi che abbandonavano le terre occupate lasciavano dietro loro ogni genere di orrore. Oggi sappiamo che è un metodo delle forze armate russe, quelle regolari e quelle paramilitari: non sappiamo quanti prigionieri ucraini sono nelle loro mani.
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