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Il cavillo

Trump può essere candidato pure da una cella. Gli audio che allarmano gli avvocati 

Giulio Silvano

Nonostante le accuse e le incriminazioni, l'ex presidente degli Stati Uniti continua ad essere il front runner del Partito repubblicano. Questo perché la Costituzione americana non prevede alcun ostacolo alla candidatura per i condannati

La Costituzione americana, figlia dell’asciuttezza filosofica dei padri costituenti, non prevede alcun ostacolo alla candidatura presidenziale di un condannato. E nemmeno la Corte Suprema si è mai occupata della questione, proprio perché non si è mai presentato il caso. Ecco che Donald J. Trump continua a creare dei potenziali primati nella bicentenaria storia della repubblica. Nonostante sia stato prima incriminato ad aprile dal tribunale di Manhattan, e poi, il 13 giugno, a Miami per reati federali, Trump continua a essere il front runner del Partito repubblicano. Ci si chiede quindi: può un cittadino in stato di arresto, o condannato, candidarsi alle presidenziali ed essere eletto alla Casa Bianca? Gli unici requisiti costituzionali per la candidatura a Pennsylvania Avenue sono: l’età, almeno 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e averci vissuto per almeno 14 anni. Trump non avrebbe potuto ricandidarsi se il Senato avesse votato per gli impeachment del 2020, in particolare per quello che lo incolpava di “incitamento all’insurrezione” dopo i fatti del 6 gennaio. Secondo un emendamento nato dalla Guerra civile, il 14esimo, chi ha preso parte a una ribellione, un’insurrezione o un tradimento ai danni del paese non può ricoprire l’incarico presidenziale. La proibizione può essere sollevata con un voto a maggioranza dei due terzi del Congresso. Ma non essendoci stato l’impeachment, la sua candidatura non ha legalmente barriere: se dovesse vincere le primarie, potrà essere incoronato alla convention repubblicana dell’estate del 2024 con i coriandoli che cadono dal soffitto, o nominato in diretta Zoom da qualche casa circondariale della Florida. Ma un conto è la candidatura, un’altra è far coincidere un’eventuale condanna, e incarcerazione, con gli incarichi presidenziali. Sul New York Times, Charlie Savage ha prospettato che nel caso dell’elezione di un Trump condannato e incarcerato, dalla sua posizione potrebbe impugnare la Costituzione e richiedere di essere rilasciato. Così come potrebbe, dovesse essere rieletto prima che si chiudano i processi, sostituire l’attuale segretario alla Giustizia e bloccarne alcuni. Un’altra possibilità è che, se ospite in un penitenziario, venga invece appena eletto immediatamente rimosso dalla sua carica per via del 25esimo emendamento, in quanto inabile ad adempiere ai propri doveri. Quindi Trump potrebbe vincere le primarie di partito (ora è in testa ai sondaggi) e candidarsi contro Joe Biden, ma  guidare l’America da una cella potrebbe invece essere un problema. 

Dove non ci sono limiti costituzionali o limitazioni giurisprudenziali, dovrebbe esserci la politica, dovrebbe esserci cioè un partito che possa scaricare un potenziale criminale dalla sua posizione. Ma tutti, o quasi, nel Partito repubblicano hanno ancora paura di Trump e delle eventuali ripercussioni se dovesse tornare al potere. “Trump è estremamente vendicativo”, ha detto l’ex speaker Paul Ryan, conservatore anti trumpiano, ex candidato alla vicepresidenza allontanatosi dalla politica. Quella vendetta “è come l’occhio di Sauron che ti segue, e ti renderà le cose molto difficili, ovunque tu sia nella tua carriera politica”. E quindi molta cautela tra i candidati, tranne per Chris Christie, ex governatore del New Jersey ed ex trumpiano temporaneo, che sfida The Donald di petto. 

Il celebre professore emerito di Harvard, Alan Dershowitz, ex democratico convinto che il governo usi la giustizia come arma politica contro Trump, ha sottolineato fino a pochi giorni fa la debolezza delle accuse legate ai documenti top secret ritrovati nella villa di Mar-a-Lago. Ma adesso è convinto che il procuratore speciale Jack Smith faccia sul serio, visto che è in possesso di alcune registrazioni in cui Trump ammette di aver mostrato a qualcuno dei documenti segreti sull’Iran – un regalo all’accusa. Ciò che dovrebbe preoccupare gli avvocati di Trump è che, se dovessero esserci abbastanza informazioni nelle registrazioni, la giuria non sarebbe costretta ad affidarsi alla credibilità degli eventuali testimoni. Dershowitz ha detto che c’è una pistola, anche se non fumante, e ha sopra le impronte di Donald Trump. Bisogna ricordarsi che sono state le registrazioni a far crollare Richard Nixon dopo il Watergate, ma va anche ricordato che Nixon fu costretto a dimettersi dai membri del suo partito.

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