(foto EPA)

L'editoriale dell'elefantino

Trump e la giustizia, un gioco pericoloso con il rischio dello strappo

Giuliano Ferrara

Incastrato nella legge e  giudicato con il voto popolare: questo il destino, nelle democrazie liberali, per chi porti il suo egotismo a giochi tirannici. Ma se prende corso la strategia deliberata dello strappo, allora son o guai

420 (quattrocentoventi) anni di galera, che è il cumulo delle pene massime previste in caso di colpevolezza riguardo ai files trattenuti da Trump nel cesso di Mar-a-Lago e mostrati in pubblico con il solito linguaggio da spogliatoio e un assoluto disprezzo delle norme di sicurezza, l’ex presidente e candidato al ritorno se li meriterebbe tutti. Ma una volta i re, quando fuggivano a Varennes, venivano poi decapitati, oggi sono sottoposti al famoso due process of law, il giusto processo. La fuga di Trump a Varennes è il suo 6 gennaio, quando la campagna di menzogne contro la legittima elezione di Biden alla Casa Bianca sfociò in una mezza insurrezione con gli elmi cornuti, l’invasione del Campidoglio di Washington, morti e feriti. La decapitazione era un metodo spiccio, si identificò con la campagna del Grande Terrore giacobino, e gli inglesi che nel loro campo furono i primi a sperimentare la cosa hanno ancora, oltre tre secoli dopo, una florida monarchia alla testa dello stato. 

 

Quel tipo di soluzione chiama restaurazione. Non si capisce che cosa rappresenti, invece, la prima incriminazione per reati federali contro un ex presidente degli Stati Uniti, né si capisce che sbocco effettuale possa avere. Vedremo come andrà a finire in America. Non ci sono alternative, nemmeno bicornute o tricornute, alla regola costituzionale e legale. L’ex Attorney General di Trump (ripeto: di Trump) ha spiegato bene perché, al contrario di Biden che ha prontamente restituito i documenti trovati nel suo garage di casa nel Delaware, l’Arancione ha preso in giro per un anno e mezzo l’Fbi e le autorità legali, compreso lo Special Counsel Jack Smith. Ha detto Bill Barr a Cbs Mornings: “Quel che è accaduto dice più su Trump di quanto non dica del Dipartimento di Giustizia. E’ così egotistico che ama mettere in scena atti rischiosi e senza scrupoli per mostrare che è in grado comunque di cavarsela. Non ci sono scuse per quanto ha fatto in questo caso”. Sospendere l’evidenza di comportamenti eversivi e farsi re impunito, facendo l’occhiolino complice ai sentimenti di estraneità a un sistema truffaldino che ha sparso a piene mani negli anni del successo e in quelli successivi alla caduta, è la strategia caratteriale e politica del tipaccio in questione. Dunque una campagna di giustizia, con indagini apolitiche, raccolta prove, vaglio delle ipotesi di accusa, incriminazione e procedura davanti a giudici e corti non raffazzonate per l’occasione all’insegna del pregiudizio politico, insomma l’opposto di quella che conosciamo come giustizia politica o caccia alle streghe, nel caso di Trump potrebbe non funzionare o, peggio, funzionare a suo vantaggio. 

 

 

Tuttavia una riflessione conclusiva è dovuta anche prima che si compia questo strano e atroce destino dell’America costituzionale, della Repubblica americana che si considera da sempre un “esperimento”. Due cose sono superiori alla giustizia, anche la più alta, la più garantita: il senso di umanità, che dovrebbe considerare la norma relativa alle circostanze generali e personali, e il senso politico. In teoria chi porti il suo egotismo a giochi tirannici e si faccia beffa delle regole valide per tutti può solo essere abbattuto, non può essere processato. E abbattuto nelle democrazie liberali moderne vuol dire incastrato nella legge, imprigionato dalle procedure e infine giudicato con il voto popolare. Ma se in questo gioco pericoloso prende corso e valore la strategia deliberata dello strappo, allora sono guai. L’intero processo si svuota di significato e il morbo della divisione costituzionale, della dissociazione democratica, si impadronisce di qualunque sistema.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.