L'ambasciatore BoJo

Il tour in Texas di Boris Johnson per convincere i conservatori americani a stare con Kyiv

Paola Peduzzi

Le parole dell'ex premier britannico contro lo scetticismo anti ucraino dei trumpiani: i 50 miliardi stanziati dall’Amministrazione Biden hanno un ottimo “rapporto qualità prezzo”, questa scelta “vi ripagherà enormemente a lungo andare”

Milano. Rimanete al fianco dell’Ucraina, questa scelta “vi ripagherà enormemente a lungo andare”, ha detto l’ex premier britannico Boris Johnson a un incontro di politici, commentatori e finanziatori repubblicani in Texas: “Avete puntato sul cavallo giusto, l’Ucraina vincerà, sconfiggerà Vladimir Putin”. Nella sua nuova vita da leader defenestrato dai suoi stessi compagni di partito nel luglio scorso, Johnson ha scelto di essere un ambasciatore ucraino nel mondo, ha costruito un rapporto personale con Volodymyr Zelensky, è certamente più popolare a Kyiv che a Londra, e combatte con questo suo sostegno indefesso, liberale, argomentato e battagliero la cosiddetta stanchezza della guerra, la possibilità cioè che gli alleati dell’Ucraina smettano di essere decisi, uniti e solerti. A Dallas lunedì Johnson ha cercato di ricucire il lembo sfilacciato del sostegno americano a Kyiv: quello dei conservatori. 

 

L’ex premier britannico è stato arruolato dal Center for European Policy Analysis (Cepa), il centro studi di Washington diretto da Alina Polyakova, cresciuta nella Kyiv sovietica e grande esperta dell’est Europa. A Politico, la Polyakova ha spiegato perché ha chiesto a Johnson di fare questo incontro a Dallas: “Vogliamo portare l’attivismo a favore di Kyiv oltre Washington, dove viviamo tutti in una bolla, e portarlo davvero nel cuore del paese, in posti come il Texas, per costruire un maggior sostegno all’Ucraina, e convincere gli scettici”. L’ex premier britannico è un ambasciatore perfetto, perché è conservatore, perché ha avuto un buon rapporto con l’ex presidente americano Donald Trump, che è uno dei più grandi alimentatori dello scetticismo anti ucraino, perché ha argomentazioni forti e idee chiarissime. Sa anche titillare il tic antieuropeo di alcuni esponenti repubblicani, come ha dimostrato a Dallas quando ha parlato di Emmanuel Macron e motteggiando l’accento francese ha detto: “Credo che sia stato il mio amico francese Macron ad aver detto che Putin-non-deve-essere-umiliato, ma penso che ce ne voglia parecchio a umiliare Vladimir Putin, francamente, e non è nostro compito  preoccuparci dell’ego di Vladimir Putin, delle sue prospettive politiche o degli sviluppi della sua carriera”. Buona parte dei suoi interlocutori la pensa come Macron, crede che umiliazioni e provocazioni possano scatenare la furia del presidente russo, il quale in realtà la furia ce l’ha per conto proprio, fin dall’inizio, anche quando gli alleati occidentali cercavano di ascoltare le sue richieste per garantirgli una sicurezza che aveva già intenzione di violare. Lo stesso Trump, che  chiama Johnson “amico” ma che ne è deluso (“è un po’ troppo dalla parte liberale, lo dico in senso negativo”), fa un’equiparazione esplicita tra aggredito e aggressore, dice che lui sarebbe in grado di mettere fine alla guerra in un giorno, che con tutta probabilità vuol dire che imporrebbe la resa a Kyiv. Quando la scorsa settimana Mosca ha introdotto nuove sanzioni contro cinquecento cittadini americani, qualche commentatore ha detto: sembra che questa lista dei nomi sia stata dettata a Putin da Trump. Fra i cinquecento c’è Barack Obama, ma anche molti giornalisti (soprattutto della Cnn), conduttori famosi come Jimmy Kimmel e Stephen Colbert, ma anche i funzionari che stanno perseguendo “i dissidenti che hanno fatto l’operazione Storming Capitol”, cioè gli assalitori del Campidoglio del 6 gennaio 2021, i trumpiani con le corna, le mimetiche e le fascette per legare le mani agli ostaggi. 

 

Il mondo trumpiano, ma anche quello legato allo sfidante conservatore Ron DeSantis che da Trump ha preso molta ispirazione, sta dirigendo il dibattito americano ancora una volta verso l’America first, dicendo: dobbiamo usare i nostri soldi per difendere i nostri confini, non quelli dell’Ucraina. Uno dei repubblicani che hanno incontrato Johnson a Dallas ha fatto la dichiarazione che sentiremo ripetere sempre più spesso: stiamo riempiendo di nostri fondi un paese estremamente corrotto. Johnson ha risposto che i 50 miliardi stanziati dall’Amministrazione Biden hanno un ottimo “rapporto qualità prezzo”, si avrà “un’accelerazione della sicurezza globale con un investimento molto basso”. E per sostanziare questa sua posizione ha citato la Cina, che molti conservatori considerano molto pericolosa, ben più della Russia: se l’Ucraina vince, gli appetiti di Xi Jinping si ridimensioneranno.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi