(foto Ansa)

il libro

Basta scemenze, i francesi ci amano. Storia di un equivoco tutto italiano

Mauro Zanon

Recensione di “Rendez-nous la Joconde!” del corrispondente del Corriere da Parigi Stefano Montefiori

Parigi. Quando nel 2019 chiesero a Frédéric Beigbeder, scrittore e critico letterario del Figaro, cosa ne pensasse delle aspre querelle diplomatiche tra l’allora governo giallo-verde italiano e l’esecutivo di Parigi, rispose che erano cose di poco conto dinanzi alla grandezza di due paesi come Italia e Francia: legati dall’arte del vivere, dalla cultura, dalla bellezza, dal vino, e che si ameranno sempre. “Un esempio? ‘Il disprezzo’, un romanzo italiano adattato da un regista francese (Jean-Luc Godard, ndr). Un capolavoro che mostra i glutei di Brigitte Bardot nella casa di Curzio Malaparte”, riassunse Beigbeder in un’intervista al Corriere della Sera.

 

Il pensiero di Beigbeder sui rapporti tra Italia e Francia si ritrova nel libro di Stefano Montefiori, che del Corriere è il corrispondente da Parigi: “Rendez-nous la Joconde! Et autres malentendus franco-italiens” (Stock). “In Italia, c’è l’erronea convinzione che l’arroganza francese, carattere che viene spesso affibbiato ai nostri cugini d’oltralpe, abbia come oggetto preferenziale gli italiani. Ma se c’è un popolo che, soprattutto negli ultimi anni, è visto con ammirazione, è proprio quello italiano. I francesi considerano il modo di vivere italiano bello, elegante, colto. Con questo libro ho voluto mettere in luce un equivoco che è tutto italiano”, dice al Foglio Montefiori.

Corrispondente del Corriere della Sera da tredici anni, Montefiori parte dalla sua esperienza personale per smentire i luoghi comuni sulla scontrosità francese e testimoniare invece il fascino che a Parigi suscita da sempre tutto ciò che fa rima con l’Italia e l’italianità. “Il mio primo contatto con la Francia, e in particolare con Parigi, che doveva essere la città più arrogante del paese più arrogante del mondo, è stato un Erasmus in cui ho dormito sei mesi in un atelier che mi era stato gentilmente, e gratuitamente, messo a disposizione da un artista”, racconta Montefiori. In quell’atelier, dal 1955 al 1986, anno della sua morte, aveva vissuto Simone de Beauvoir, autrice del libro-manifesto del femminismo francese, “Le Deuxième Sèxe”, e moglie di Jean-Paul Sartre. “Certo, sono consapevole che fu un piccolo episodio fortunato. Ma anche negli anni successivi, sono state più le volte in cui mi sono sentito accolto e benvoluto in quanto italiano che le volte in cui mi sono sentito in una realtà estranea”, dice Montefiori. La sua è la storia di un figlio dell’Erasmus, di un cittadino dalle identità multiple – spezzino, genovese, pisano, milanese, parigino, francese ed europeo, come tiene a sottolineare nel libro – che trova più differenze tra La Spezia e Genova che tra Milano e Parigi, che ha una moglie italiana ma due figli che parlano meglio la lingua di Molière che quella di Dante, che ha avuto uno zio antifascista rifugiatosi a Parigi negli anni bui del Ventennio e che oggi si sente parte di un popolo europeo.

 

Forse l’idea di un popolo europeo è un po’ romantica, ma la rivendico. Da italiano che vive da tanti anni in Francia, mi sembra di incontrare sempre più persone che vivono questa situazione di identità multiple”, afferma Montefiori. L’Europa non è più soltanto quella delle élite intellettuali care all’accademico di Francia Marc Fumaroli, che parlavano tutte francese nel Diciottesimo secolo, né quella dei tanto odiati tecnocrati di Bruxelles. “Dinanzi alla solita litania sull’Europa tecnocratica, asettica e burocratica, che vive solo delle famose direttive di cui si prendeva gioco Boris Johnson, la realtà delle ‘famiglie europee’ è una realtà diffusa che mostra che l’Unione europea ha anche un’anima”, dice Montefiori. Leggendo il suo libro ci viene voglia di allargare ai confini nazionali la splendida frase con cui fu suggellato il gemellaggio tra Roma e Parigi nel lontano 1956, dicendo che “solo la Francia è degna dell’Italia, solo l’Italia è degna della Francia”. Ma basta essere diffidenti, cari italiani: i francesi in fondo ci amano.

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