La confessione

Mosca può permettersi la guerra lunga?

Micol Flammini

Molto dipende da un uomo, si chiama Sergei Chemezov, ha lavorato con Putin nel Kgb a Dresda e gestisce le industrie chiave della Difesa. La paranoia e le ossessioni del presidente raccontante da un ex agente della sua sicurezza

Era l’ottobre dello scorso anno quando Vladimir Putin si era recato in Kazakistan per partecipare a un vertice internazionale in cui, assieme ai leader di altri ventisette paesi,  avrebbe parlato della sua missione di sabotare l’ordine mondiale. Il presidente russo si muove, come ogni capo di stato, con diplomatici, medici, sicurezza, uomini di tutte le agenzie di intelligence. Nella carovana che seguiva Putin ad Astana c’era anche Gleb Karakulov, un uomo che era abituato a  proteggerlo da tredici anni e in centottanta trasferte in qualità di membro dell’Fso, il servizio federale di protezione per alte cariche dello stato. La mansione dell’agente Karakulov era fornire comunicazioni cifrate  e lo aveva fatto con rigore e dedizione  fino all’inizio dell’invasione dell’Ucraina. 

 

Durante il viaggio in Kazakistan, l’agente trovò il modo di scappare e andare in Turchia, di recente ha rilasciato un’intervista con il Dossier center finanziato da Mikhail Khodorkovsky e ha detto che rimanere a lavoro con il presidente  sarebbe stato un reato ancora più grande della defezione. E’ la testimonianza più vicina a Putin mai arrivata negli ultimi anni, Karakulov racconta che la salute di Putin è ottima, ma da anni ha imposto un regime di iperprotezione, ha creato e ordinato  barriere, sviluppato un’ossessione per la propaganda istituita  da lui stesso e di cui è diventato vittima. Oltre a definire il presidente russo “un criminale”, l’agente lo definisce “un paranoico” e sulla base della sua paranoia si circonda di persone che conosce da sempre e che gli devono qualcosa. Amici, conoscenti, debitori, sodali, la cerchia di Putin è colma di volti a lui noti a cui ha affidato settori chiave del paese. 

 

L’industria bellica non è immune da questo legame di conoscenza e nel 2007, il presidente russo ha messo a capo della Rostec, la compagnia statale che raggruppa varie aziende strategiche, molte della Difesa, Sergei Chemezov. I due hanno lavorato insieme nel Kgb, Chemezov è un economista di formazione e  il legame tra i due si è sviluppato a Dresda, quando entrambi erano di servizio nella Repubblica democratica tedesca, la Ddr, ed erano anche vicini di casa. Ad accomunarli all’epoca c’era anche l’amicizia tra le loro  due mogli, ormai ex. Questo legame personale ha dettato  poi la carriera di Chemezov che oggi è l’uomo che gestisce e determina la potenza di fuoco della Russia. Da ottobre Mosca ha lanciato attacchi massicci contro l’Ucraina ogni due settimane con una capacità di circa ottanta  missili ad attacco. La necessità di scaglionare i bombardamenti su larga scala nasce dal controllo sugli armamenti, che  sono di disponibilità limitata ma nemmeno scarsi quanto gli analisti occidentali avevano calcolato all’inizio dell’invasione. Mosca sta anche diversificando e ieri il portavoce ucraino dell’Aeronautica ha detto che al giorno arrivano circa venti bombe guidate in grado di  percorrere fino a settanta chilometri e che rischiano di mettere in difficoltà la difesa aerea di Kyiv. La Russia aveva scommesso sull’aviazione per mettere in ginocchio l’Ucraina durante l’inverno, ha dimostrato di avere una capacità di immagazzinamento e produzione ben superiore a quella che l’occidente credeva, ma non ha ottenuto il risultato sperato: Kyiv è stata al buio, ma ha sviluppato l’arte  di far ripartire le sue infrastrutture in tempi molto rapidi. Alcuni canali telegram, tra quelli più aggressivi nei confronti della strategia fallimentare di Mosca, hanno attaccato direttamente Chemezov dicendo che per ottenere i risultati sperati il settore della Difesa avrebbe dovuto produrre in modo più massiccio, tanto da impedire agli ucraini di ricostruire tra un’ondata di bombardamenti e l’altra. Putin non dà retta agli arrabbiati su Telegram – con ogni probabilità, secondo i racconti dell’ex agente Gleb Karakulov, non sa neppure che esistano visto che la sua fonte di informazione è la sua stessa propaganda – e infatti Chemezov è rimasto al suo posto, a guidare le aziende che lavorano sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro.

  

 

Se Putin sta davvero preparando la Russia per la guerra lunga, un conflitto  protratto ed eterno contro l’Ucraina e contro l’occidente, non potrà rinunciare a traghettare il paese verso un’economia e una produzione di guerra. Vuole farlo senza strappi, trascinando i russi e le loro giornate verso l’abitudine bellica. Ha già iniziato a chiedere sacrifici e lungimiranza a oligarchi e imprenditori. Ieri era a Tula, ha partecipato a una riunione sullo sviluppo industriale e ha chiesto di cambiare mentalità, di stravolgere il sistema delle importazioni condizionato dalle sanzioni e di pensarne uno diverso e valido per il lungo termine. 

 

Per realizzare i piani di Putin della guerra lunga, Chemezov è una figura centrale. Il fuoco del conflitto parte dalle sue aziende. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.