Gli arsenali di Mosca

La fabbrica delle armi di Putin

Micol Flammini

In Russia le sedi della Rostec lavorano senza pause e gli ospedali civili diventano militari

Nella città russa di Samara un gruppo di cittadini si è ritrovato martedì nella piazza principale, Piazza Slavy. Con i fiori rossi in mano commemoravano i soldati  morti a Makiivka, nella regione ucraina di Donetsk. I militari erano stati raggruppati in un unico edificio, una scuola usata come base e colpita dall’esercito di Kyiv. Molti dei soldati venivano dalla regione di Samara, lungo il fiume Volga, ma i cittadini che si erano raccolti per ricordarli non avevano alcuna intenzione di manifestare contro la guerra o contro i comandanti che avevano preso la decisione sconsiderata di esporli, tutti insieme, a un bombardamento nemico. La loro presenza era anzi a sostegno del Cremlino e ascoltavano con attenzione le parole di una donna in pelliccia e con il capo coperto da un fazzoletto bianco, Ekaterina Kolotovkina. “Non dormo da tre giorni e neppure Samara ha dormito. E’ tutto molto difficile e spaventoso, ma non possiamo lasciarci spezzare”. Kolotovkina è la moglie del tenente generale Andrei Kolotovnik, ha ricevuto lodi e premi da parte del Cremlino e davanti ai cittadini vestiti a lutto ha detto di aver chiesto a suo marito vendetta dopo aver saputo del bombardamento di Makiivka. La sua rabbia composta non era diretta al presidente Vladimir Putin, ma all’occidente “intero che si è mobilitato con il fine di distruggere noi e i nostri figli” e non ha lasciato altra scelta ai russi se non combattere. 
 

L’attacco a Makiivka ha dimostrato, ancora una volta, le debolezze dell’esercito russo, Putin non ha commentato, ma ha chiesto al ministro della Difesa di presentargli entro il primo febbraio un rapporto dettagliato sulle forniture di armi ai soldati. Fucili, munizioni, equipaggiamento, ha chiesto di essere informato sulle condizioni del suo esercito. Dall’inizio dell’invasione, Putin si è comportato non soltanto come il presidente, ma come lo stratega di quella che chiama “operazione militare speciale”, ma gli analisti russi e internazionali nutrono forti dubbi sul fatto che Putin venga costantemente informato sulle condizioni reali del suo esercito. Lamentele dal fronte per l’equipaggiamento vecchio e scarso arrivano dall’inizio dell’invasione e soltanto adesso il capo del Cremlino avrebbe chiesto dettagli e precisazioni sulle forniture. 

 

Più che alle armi, gli ucraini guardano invece con attenzione a un altro dato: i missili. Il capo dell’intelligence militare di Kyiv, Kyrylo Budanov, ha detto che a Mosca rimangono scorte sufficienti soltanto per un paio di attacchi su larga scala e che sta ridimensionando il numero dei missili utilizzati, da circa ottanta a una ventina. L’obiettivo dei bombardamenti martellanti di Mosca è piegare la popolazione, rendere il paese inospitale, gelido, ma finora gli abitanti, tra enormi sacrifici, sono sempre riusciti se non a ricostruire quello che gli attacchi distruggono, a ripristinare la rete elettrica contro cui si accanisce la Russia. Se le capacità dell’esercito russo erano state  sopravvalutate all’inizio dell’invasione, la capacità di Mosca di produrre armi era stata sottovalutata e, anche se gli attacchi missilistici non vengono perpetrati con la frequenza che vorrebbe il Cremlino, continuano a essere fitti e ieri il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che Mosca sta pianificando un  pesante attacco con i droni iraniani. 
Il centro della produzione di armi in Russia  è il conglomerato statale Rostec, guidato da Sergei Chemezov. Raggruppa le oltre quattrocento aziende che erano attive prima del 2007 nell’ambito militare ed è stata uno dei punti di orgoglio di Putin, che ne ha disposto la creazione. Chemezov ha detto che le fabbriche della  Rostec – fino al 2012 chiamata Rostechnologii – lavorano ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, e il loro personale, per rispettare i contratti statali, ha anche rinunciato ai giorni di festa durante il Natale. A novembre era stato Putin a chiedere di aumentare la produzione e anche la qualità delle attrezzature e aveva disposto la creazione di un consiglio speciale che si occupasse di   aumentare le forniture di equipaggiamento e missili: ne vengono prodotti circa  cinquanta al mese. Tutta la Russia si sta trasformando, neppure troppo lentamente, in un paese in stato di guerra: le fabbriche aperte continuamente, le veglie per i soldati, gli ospedali civili trasformati in ospedali militari.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.