Piantedosi e Trabelsi a Roma lo scorso febbraio (foto ministero dell'Interno)

vecchie strategie, stessi problemi

Turchia, Tunisia, Libia. Sui migranti ciò che finora ha fatto Piantedosi non funziona

Luca Gambardella

Viaggi, vertici, strette di mano a personaggi dubbi. La corsa a vuoto del ministro dell'Interno fra le due sponde del Mediterraneo inseguendo la chimera delle "zero partenze"

Tanti viaggi fra una sponda e l’altra del Mediterraneo, tanti vertici, tante strette di mano non hanno portato i risultati sperati dal governo italiano sul fronte dell’immigrazione. Anzi, lungi dall’ottenere il tanto agognato “blocco delle partenze”, i numeri degli arrivi dall’insediamento al Viminale di Matteo Piantedosi sono molto più preoccupanti oggi rispetto a quelli degli anni scorsi, nonostante il ministro dell’Interno si sia prodigato in un notevole attivismo diplomatico.    

 

Inizia tutto lo scorso 16 gennaio. Piantedosi vola ad Ankara e incontra il suo omologo Süleyman Soylu. La Turchia riceve dall’Ue circa 6 miliardi di euro per fermare la rotta balcanica e al centro del confronto – dice una nota del ministero dell’Interno – c’è “il contrasto all’immigrazione irregolare”. I due ministri hanno modo di confrontarsi sulla rotta ionica, lungo la quale si sono registrati 18 mila arrivi lo scorso anno, con un +108 per cento. Una delle motivazioni è proprio la chiusura della via terrestre lungo i Balcani, finanziata  dall’Europa. Chiusa una strada, i migranti ne trovano un’altra e ora, con il terremoto in Siria e Turchia, c’è da aspettarsi un ulteriore aumento delle partenze lungo la rotta ionica

 

Passano due giorni dalla visita ad Ankara e Piantedosi parte alla volta di Tunisi. Qui l’impegno è arduo perché delle 14.639 persone sbarcate in Italia dall’inizio del 2023 – il dato è aggiornato al 6 marzo ed è già tre volte quello registrato in tutto il 2022 – quasi 1.200 sono di nazionalità tunisina. Il ministro incontra il presidente-dittatore Kais Saied. “Abbiamo parlato della  collaborazione tra Italia e Tunisia nell’ottica di una più ampia strategia che coniughi i temi della legalità, dello sviluppo, della sicurezza e della migrazione regolare”, commenta Piantedosi. Oltre a rinnovare il sostegno per limitare le partenze dei migranti, il capo del Viminale e il ministro degli Esteri Antonio Tajani che lo accompagna promettono  il loro aiuto per velocizzare i negoziati fra la Tunisia e il Fmi, il cui prestito è vitale per risollevare il paese dalla crisi economica. In cambio, Saied si impegna a frenare le partenze dei barconi. Ma non trascorre nemmeno un mese e il presidente tunisino attira l’attenzione del mondo intero con le sue politiche discriminatorie nei confronti dei subsahariani, fatte di violenza e detenzioni illegali.  Lunedì, la Banca mondiale ha interrotto la cooperazione con la Tunisia come ritorsione per quelle che Saied ha definito misure contro “la grande sostituzione” etnica, e che secondo l’organizzazione internazionale non sono altro che una forma di “razzismo”. Il ministro degli Esteri tunisino, Nabil Ammar, ha tenuto a sottolineare che le politiche migratorie del paese sono applicate in coordinamento con l’Italia. Un modo per dire: Roma sa bene quello che stiamo facendo. Ora però, con un nuovo freno agli aiuti internazionali, è più che probabile che le partenze dalla Tunisia in dissesto economico aumenteranno.

 

Fra gennaio e febbraio Piantedosi si concentra anche sulla Libia. Il 28 gennaio, il ministro vola a Tripoli con Meloni e l’ad di Eni, Claudio Descalzi. A margine della firma dell’accordo per l’estrazione del gas, Piantedosi coglie l’occasione per un bilaterale con il capo dell’Interno tripolino, Mustafa Trabelsi. L’incontro prelude alla consegna di tre motovedette al governo di unità nazionale libico, per una commessa da 8 milioni di euro conclusa una decina di giorni dopo in Italia, ai cantieri navali di Adria. Il 21 febbraio, mentre le partenze dei barconi non accennano a fermarsi, Piantedosi e Trabelsi si incontrano di nuovo, stavolta a Roma. I due discutono dell’attivazione della “task force Italia-Libia”  per coordinare azioni comuni in materia di sicurezza e immigrazione. Passano due settimane, siamo al 3 marzo, e Trabelsi è arrestato all’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi. Con sé ha mezzo milione di euro in contanti. Il ministro dell’Interno libico è rilasciato dopo diverse ore grazie all’immunità diplomatica. “Sono soldi per le vacanze”, dichiara. Difficile da credere. Quando era capo delle forze di Zintan, il dipartimento di stato americano e un rapporto dell’Onu accusarono Trabelsi di essersi arricchito con il traffico di petrolio, imponendo un pizzo di 5 mila dinari libici (circa mille euro) ogni volta che una cisterna di greggio attraversava il territorio controllato dalla sua milizia. 

 

Una maledizione? Stringere accordi con le persone sbagliate e replicare vecchie strategie sperando in un risultato diverso non paga. Dopo la strage dei migranti dell’ottobre 2013 a Lampedusa, in cui morirono 368 persone, il governo dell’epoca lanciò la missione di salvataggio Mare Nostrum. Oggi, dopo quella di Cutro, ci si potrebbe aspettare invece che il governo Meloni rilanci “una nuova missione Sophia”, come promesso dalla stessa premier al suo insediamento. Magari già giovedì, in occasione del Consiglio dei ministri che si terrà a Cutro

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.