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L'editoriale del direttore

Il bivio di Meloni sull'immigrazione: seguire il trucismo o rottamarlo?

Claudio Cerasa

La mediocre informativa del ministro PIantedosi ha riproposto uno dei temi più complicati da maneggiare per la cultura sovranista: la gestione dei flussi migratori. Ci sono solo due alternative per la premier

La mediocre informativa consegnata ieri alle Camere dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – che in un lungo e appassionato intervento a difesa dell’operato del governo non è riuscito a offrire una risposta chiara all’unica domanda cruciale sulla tragedia di Cutro, ovverosia per quale ragione in quella notte maledetta si è scelto di considerare l’arrivo di un’imbarcazione carica di migranti in un mare prossimo alla tempesta come un evento da trattare con la logica della protezione dei confini e non con la logica della protezione delle vite umane – conferma che di fronte al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, c’è un bivio importante sul tema della gestione di una parola complicata da maneggiare per la cultura sovranista: l’immigrazione. Di fronte a questo bivio, ci sono due strade.

 

La prima è quella che ha scelto di seguire negli ultimi giorni la Lega, e di riflesso anche il ministro dell’Interno, ed è quella di rivendicare una linea di condotta che ha una sua coerenza: non arretrare sulla difesa della linea dura, non smettere di demonizzare le ong, non arretrare sulla scelta di ricercare sull’immigrazione risposte più nazionali che europee e non avere problemi a considerare ogni imbarcazione che si avvicina all’Italia come una potenziale fonte di pericolo. La seconda strada è quella che in questi giorni ha cercato timidamente di mettere in campo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ed è una strada che mostra una consapevolezza nuova da parte del capo del governo: non insistere con la politica del blocco navale, non avere paura a maneggiare la parola solidarietà, non demonizzare i migranti che arrivano in Italia e comprendere a poco a poco che l’unica possibilità concreta che ha l’Italia di gestire l’immigrazione ha a che fare più con le politiche europee che con quelle nazionali.

 

Non è un caso che proprio in questi giorni, nei giorni in cui il partito che più di tutti protegge Piantendosi non abbia trovato una sola occasione per chiedere scusa per le parole pronunciate dal ministro all’indomani del naufragio dei migranti al largo di Crotone, che il ministro più importante di Fratelli d’Italia, Francesco Lollobrigida, cognato della premier, abbia a sorpresa introdotto nel dibattito pubblico un tema importante, come quello dell’aumento delle quote di ingresso dei migranti, “almeno 500 mila”, attraverso una revisione al rialzo del decreto flussi. Può sembrare un dettaglio, ma nell’affermazione di Lollobrigida vi è un salto logico cruciale, di chi finalmente comprende che l’immigrazione più che essere bloccata deve essere governata. Scegliere con coerenza questa strada, per il presidente del Consiglio, che meritoriamente ha deciso di svolgere il prossimo Consiglio dei ministri a Cutro, significa però avere anche consapevolezza di quali dovrebbero essere i prossimi passi in avanti per declinare con intelligenza la politica degli ingressi legali e dei rimpatri immediati. E significa capire che oltre il decreto flussi, importantissimo, occorre concentrarsi a livello europeo anche su altri temi cruciali.

 

Per esempio, il rafforzamento degli accordi finanziari con i paesi da cui ha origine l’immigrazione. Per esempio, il rafforzamento delle politiche europee per i rimpatri dei migranti economici. Per esempio, la semplificazione delle procedure che esistono per l’accoglienza di chi ha diritto di asilo. Per esempio, la costruzione di alleanze in Europa – non dunque con gli ex paesi di Visegrád – utili a rafforzare l’unica politica che aiuterebbe l’Italia a essere meno isolata nelle politiche di accoglienza dei migranti: riforma del trattato di Dublino e accordi pragmatici per la redistribuzione. Continuare a seguire l’agenda del trucismo, un’agenda disumana e inefficace, o scrivere una nuova pagina, sull’immigrazione, provando a dettare l’agenda in Europa. Cutro o non Cutro, il futuro del governo Meloni passa anche da qui: tornare al trucismo o superarlo? Cercansi risposti meno mediocri di quelle offerte ieri da Piantedosi, grazie.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.