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naufraghi o criminali?

La strage di Cutro è solo l'ultimo caso in cui al salvataggio si preferisce l'intervento di polizia

Luca Gambardella

La procura di Crotone indaga per capire cosa è successo fra la segnalazione di Frontex e il naufragio del barcone. Il nodo sta in due parole, "principio di precauzione". Una storia che va avanti dal 2018, da quando al Viminale era ministro Salvini

Il nodo della questione sta in due parole, “principio di precauzione”. E’ sulla base di questo che si dovrà capire se davvero domenica scorsa è stato fatto tutto il possibile per impedire che il barcone stracarico di migranti si incagliasse a un centinaio di metri dalla costa di Steccato di Cutro, facendo annegare 67 persone, fra cui 15 minori, e lasciando fra le onde un’ottantina di dispersi. Mercoledì, prima ancora che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rispondesse alle domande dei deputati in commissione Affari costituzionali alla Camera, il comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, ha aggiunto elementi che mettono in ulteriore difficoltà il Viminale. Il comandante ha dichiarato ai cronisti che, sulla base della prima segnalazione del barcone inviata dal velivolo Frontex, “spettava alla Guardia di Finanza intervenire per prima”. Secondo Aloi, la Guardia costiera sarebbe rimasta defilata per l’intera successione degli eventi fino a domenica mattina alle 4.30, quando ormai il barcone si era spezzato in due. Cosa sia successo fra l’avvistamento di Frontex, avvenuto la sera precedente alla strage, e la mattina successiva sarà appurato dall’inchiesta condotta da Giuseppe Capoccia, procuratore di Crotone. Il reato di omissione di soccorso ancora non è ipotizzato, ma per il pm un dato è certo: “Nessuno ha mai dichiarato un evento Sar e quindi non è mai partita un’operazione di ricerca e soccorso”.  L’intero intervento, sin dall’invio delle due unità della Guardia di Finanza, poi rientrate in porto a causa del maltempo senza raggiungere il target, è stato gestito come un’attività di polizia (law enforcement) e non di salvataggio (Sar, ovvero search and rescue). Ed è qui che entra in gioco il “principio di precauzione”.

 

A spiegare in cosa consista è stata la stessa Guardia costiera nel 2017, nel suo rapporto sulle attività Sar compiute in quell’anno. “Ogni imbarcazione sovraffollata è un caso Sar di per sé ed è una possibile situazione di pericolo anche in assenza di un segnale di emergenza in base al principio di precauzione”. Se quindi, come è stato acclarato nel caso del disastro di domenica scorsa, Frontex ha segnalato la presenza in mare di un barcone “pesantemente sovraccarico” – lo ha confermato due giorni fa un portavoce dell’agenzia europea – il successivo intervento di polizia invece che di soccorso lanciato dal Centro di coordinamento di Roma, sotto l’autorità del ministero dell’Interno, sarebbe stato inadeguato. E così, mentre la Vedetta V5006 e il Pattugliatore veloce PV6 Barbarisi della Guardia di Finanza rientravano in porto, le motovedette della Guardia costiera non sono mai intervenute. Il perché lo ha chiarito alla stampa lo stesso comandante Aloi: “Io non ho ricevuto alcuna comunicazione”. Niente evento Sar, niente Guardia costiera, almeno fino alla mattina del disastro, quando ormai era troppo tardi.  

 

Il caso di Cutro è solo l’ultimo di una lunga serie in cui un evento di salvataggio viene classificato e gestito come uno di polizia. Questa tendenza è iniziata nel 2018, sotto la gestione dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. E’ a partire da quel momento che nei rapporti della Guardia costiera, oltre alle persone “soccorse”, cioè i naufraghi, si cominciano ad annoverare quelle “intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza”, cioè operazioni di law enforcement. I dati forniti nel Rapporto del 2019 sui salvataggi parlano per la prima volta di un aumento esponenziale delle operazioni di law enforcement a scapito di quelle Sar.

 

Sebbene in commissione Piantedosi abbia detto che “spesso attività Sar e di law enforcement finiscano per intrecciarsi fra loro”, la differenza  è tutt’altro che teorica. Nel 2015, il contrammiraglio della Guardia costiera Nicola Carlone, intervenuto al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, aveva spiegato perché invece la questione fosse rilevante. “Se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso Sar), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a terra delle persone soccorse”. Se invece un’imbarcazione “non è ritenuta versare in situazione di pericolo, l’attività di polizia delle autorità dello stato costiero normalmente si limita al monitoraggio della situazione, allo scopo di verificare se la destinazione appaia essere quella di detto stato costiero”. La strage di Cutro sembra ricadere tragicamente in questo secondo caso. Le verifiche della procura di Crotone potrebbero arrivare a capire cosa abbia impedito di applicare il “principio di precauzione” e chi abbia deciso che un barcone carico di 200 persone con mare mosso non fosse in pericolo. 

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.