Ansa

Le entrate del Cremlino

I finanziamenti “grigi” di Mosca per aggirare le sanzioni sul petrolio

Giorgio Arfaras

Gli obiettivi dell'embargo alla Russia erano due: non far esplodere il prezzo del petrolio e mettere in crisi il bilancio dello stato russo. Tutto sembrava procedere nella direzione voluta, ma sul mercato sono comparsi nuovi intermediari

Ci sono delle sanzioni contro la Russia che hanno un impatto a lungo termine, come il blocco del trasferimento di tecnologie, e delle sanzioni che hanno un impatto di breve termine, come il blocco parziale o totale del commercio di materie prime non rinnovabili. L’impatto delle seconde è considerevole, perché metà circa delle entrate fiscali del Cremlino traggono origine da queste ultime. Alla fine dello scorso anno è scattato il blocco del commercio per nave di petrolio russo verso l’Europa: coinvolge sia i paesi sanzionatori sia il resto del mondo. Per il resto del mondo il blocco consiste nella proibizione per le compagnie occidentali di assicurare le navi che trasportano petrolio russo. Con la proibizione che scatta se il petrolio è scambiato a dei prezzi superiori ai sessanta dollari al barile.

 

Ciò non è avvenuto, perché l’economia mondiale ha rallentato, così la domanda di petrolio, e così il prezzo. Il petrolio detto Brent, quello che si prende a riferimento, è scambiato intorno agli ottanta dollari al barile, mentre il petrolio detto Ural, quello russo, è scambiato con uno sconto che lo porta a essere inferiore ai sessanta dollari. E con un prezzo inferiore ai sessanta dollari la sanzione non scatta. L’obiettivo della sanzione era duplice: non far esplodere il prezzo del petrolio, come sarebbe avvenuto proibendo in toto il commercio di petrolio russo. Esplosione che avrebbe leso anche il sanzionatore. Allo stesso tempo si metteva in crisi, per la riduzione della rendita petrolifera dovuta ai minori ricavi tratti dalle materie prime non rinnovabili, il bilancio dello stato russo.

 

Tutto sembrava procedere nella direzione voluta, ma ecco che è scattato un nuovo meccanismo. È sorta una infrastruttura di spedizione e finanziamento “grigio” che potrebbe espandersi. Per ora la sua dimensione è modesta. Gran parte delle esportazioni di petrolio russo avvengono, infatti, nella legalità. Ma la nuova infrastruttura presenta dei vantaggi per la Russia: mette una parte delle esportazioni russe di petrolio fuori dal controllo diretto occidentale. Con i nuovi intermediari che possono essere un modo per incanalare denaro verso società estere e così costituire dei tesoretti nel caso di un cambio di regime. Questa nuova infrastruttura può ovviamente funzionare solo con degli operatori, delle navi cisterna, delle fonti di finanziamento e assicurative. I nuovi operatori, i nuovi trader di petrolio russo, si sono trasferiti nei paesi del Golfo, mentre i vecchi trader operavano da Ginevra.

 

È esplosa la domanda di navi cisterna di seconda mano, ma solo di piccola e media dimensione, perché sole queste ultime possono attraccare nei porti russi. Venendo meno il finanziamento dalle banche occidentali e giapponesi, si arguisce che il credito per la nuova infrastruttura arrivi dalla Russia. Ma stanno entrando nel meccanismo di finanziamento anche in paesi del Golfo. Infine, anche le assicurazioni vedono l’intervento dello stato russo. Ma i premi, come quelli che scatterebbero con il pagamento dei risarcimenti per una nave che innonda inquinando un’area importante, sono alla portata solo delle compagnie occidentali.

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