Antony Blinken (LaPresse) 

Blinken arriva in Asia centrale a contrastare l'influenza russo-cinese

Davide Cancarini

I margini per il segretario di stato appaiono limitati. Tuttavia il capo della diplomazia americana non si limiterà a incontri bilaterali con le controparti kazaca e uzbeca, ma tenterà di mettere in campo un approccio multilaterale

Utile come scalo verso oriente ma soprattutto sempre più importante dal punto di vista geopolitico, l’Asia centrale è stata scelta da Antony Blinken, segretario distato americano, come tappa lungo il viaggio che lo porterà in missione in India. Il subcontinente lo attende per il meeting del G20 e lo stop in Kazakistan – dove è in arrivo oggi – e Uzbekistan è stato messo in agenda nel tentativo di far ritrovare agli Stati Uniti un ruolo nella regione.

D’altronde le principali repubbliche centroasiatiche, a più di un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, non sono mai state aperte come ora all’accrescimento dei loro rapporti internazionali. Mosca è infatti vista come un partner sempre più inaffidabile e pericoloso da avere al proprio fianco, perché la vicinanza al Cremlino potrebbe mettere a rischio l’afflusso di investimenti o la credibilità internazionale di Astana e Tashkent.

 

Il momento sembra quindi propizio per un ritorno di fiamma tra Washington e la regione, dall’altro va detto che l’affollamento alle porte delle steppe centroasiatiche è notevole. Ultimo esempio indicativo in tal senso, il sostegno dato dal Kazakistan al piano di pace cinese per l’Ucraina, che invece ha generato grande scetticismo sulle sponde dell’Atlantico. La relazione tra Pechino e Astana, negli ultimi anni cresciuta molto dal punto di vista economico, è sempre più forte anche dal punto di vista politico e una delle svolte è legata al discorso che lo scorso settembre Xi Jinping ha tenuto durante la sua visita in terra kazaca. La dichiarazione in difesa dell’integrità territoriale della Repubblica centroasiatica è stata particolarmente apprezzata dal presidente Kassym-Jomart Tokayev, che teme il suo paese possa essere prima o poi fatto oggetto delle mire espansionistiche di Mosca. Avere un padrino come quello cinese torna quindi molto utile. 

Allo stesso tempo va riconosciuto però che la Russia mantiene un’influenza notevole sull’Asia centrale. Anche in questo caso, un esempio aiuta a comprenderne la portata. Le cinque repubbliche regionali, infatti, si sono compattamente astenute durante l’ultimo voto alle Nazioni Unite in merito a una dichiarazione – poi approvata – sulla necessità del raggiungimento di una “pace piena” in Ucraina. La neutralità rispetto alla vicenda ucraina è stata ribadita più volte dalle cancellerie regionali, ma una vera e propria condanna non è mai arrivata. I margini diplomatici di Blinken appaiono quindi limitati. Il segretario di stato, per la prima volta nella regione da quando ha assunto il ruolo di capo della diplomazia americana, non si limiterà a incontri bilaterali con le controparti kazaca e uzbeca, ma tenterà di mettere in campo anche un approccio multilaterale. Prima della sua ripartenza per l’India parteciperà infatti a un meeting con le cinque repubbliche regionali e, stando almeno ai documenti circolati finora, sottolineerà a sua volta l’attenzione che gli Stati Uniti prestano alla sovranità e all’integrità territoriale dei partner locali. Difficile che dagli incontri bilaterali con rappresentanti del Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan emergano spunti significativi, considerando anche che i riferimenti statunitensi alla necessità di un’apertura democratica dei regimi centroasiatici sono tradizionalmente, per usare un eufemismo, accolti con freddezza.

 

A pesare, va detto, sarà soprattutto il sostegno economico che il funzionario sarà in grado di mettere sul tavolo. L’ultimo precedente in ordine di tempo non fa ben sperare: lo scorso novembre, il suo assistente per la regione, Donald Lu, ha infatti visitato l’Asia centrale, annunciando la possibilità di lanciare il piano Economic Resilience Initiative in Central Asia, dal nome roboante ma che disporrebbe di fondi pari solo a 25 milioni di dollari. Una vera e propria goccia nel mare, considerando gli investimenti infrastrutturali cinesi nell’area per miliardi e miliardi di dollari, indicativi più di un disimpegno statunitense che di una ritrovata volontà di attivismo regionale. A Blinken il compito di provare a invertire la rotta.
 

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