La nostra difesa comune

Ben Wallace dà una forma europeissima all'unità contro Putin

Paola Peduzzi

Il ministro britannico indugia sulle cautele europee: siamo forti insieme. Il fattore umano dell'ex soldato tra insistenza e urgenza di fermare l'invasione dell'Ucraina e non permettere che diventi un modello per altri regimi

Roma. Il fronte occidentale è unito e questo è l’unico messaggio che dobbiamo consegnare alla Russia di Vladimir Putin, dice il ministro della Difesa britannico Ben Wallace, intervenendo al Forum di Pontignano organizzato dall’ambasciata britannica a Roma: “Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Stati Uniti: siamo tutti insieme”, dice Wallace dichiarando di voler svicolare alla domanda (di Lucia Annunziata, che ha moderato il dibattito) sulle priorità di Volodymyr Zelensky, che è andato a Washington, Londra, Parigi e Bruxelles, ma da noi e dai tedeschi no. In realtà il ministro non svicola, è affilato e diretto, si giustifica ribadendo “sono un soldato”, pragmatismo assoluto, ma non ha bisogno nemmeno di alibi, perché esplicito come lui sulla necessità di fermare Putin e di non permettere che la sua invasione diventi un modello per altri regimi non c’è nessuno. E’ appena ironico – e in un certo verso doloroso – che sia un ministro britannico conservatore (anche se contrario alla Brexit: nel 2016 consigliò inascoltato a un Boris Johnson indeciso su che parte gli convenisse sostenere di non mettersi con “i pagliacci” del leave) a parlare come il leader di una difesa comune europea. Ma è quello che fa con un’insistenza e un’urgenza miste a un senso umano fortissimo. Quando sei stato un soldato, dice, e hai dovuto prendere decisioni per altri soldati e quindi per le loro mogli e i  loro figli, ogni cosa prende un significato differente. 

 


Esce dai grafici e dai report e diventa la vita quotidiana della guerra. Quando parla di Putin Wallace usa termini duri, “se i prezzi dell’energia sono alti, se i governi europei devono prendere decisioni difficili la responsabilità è soltanto di Putin che non ha voluto ascoltare chi gli diceva di non invadere l’Ucraina”, e Wallace faceva personalmente parte di queste delegazioni, “e che ora usa strumenti sistematicamente terroristici, la tortura, gli stupri” per piegare un paese e minacciare tutti i suoi alleati. Il ministro non usa mezze parole – la diplomazia è competenza del ministero degli Esteri, il suo mestiere è un altro – e denuncia anche il disprezzo che Putin e i suoi uomini hanno nei confronti dei loro stessi soldati, il disprezzo per l’essere umano che Wallace trova insopportabile, perché anche un soldato russo, per quanto efferato possa essere l’ordine che gli è stato impartito, ha una famiglia, una moglie, dei figli, e in nessuno dei nostri paesi occidentali uno scempio come quello che il Cremlino infligge alle proprie truppe potrebbe mai essere tollerato. Quando gli americani decisero il ritiro dall’Afghanistan in quel modo che si sarebbe rivelato caotico e fallimentare, Wallace, che era già ministro della Difesa e che aveva lavorato quando era nell’esercito anche in Afghanistan, fu invitato in una trasmissione: spiegò i termini tecnici dell’evacuazione, disse che quei vent’anni di impegno militare e civile erano stati decisivi e Londra conservava una responsabilità sul futuro degli afghani, ma quando dovette ammettere “so che qualcuno non riuscirà a mettersi in salvo” si dovette interrompere, il soldato si era commosso.

 

Questa umanità inattesa si ritrova non soltanto quando si parla di uomini e donne che vanno al fronte: per Wallace conta soltanto l’unità della risposta contro l’invasione di Putin, parla assieme a Guido Crosetto, ministro della Difesa, dell’alleanza tra Regno Unito, Italia e Giappone per la produzione di un nuovo modello di aereo da combattimento, che non è soltanto un patto per il futuro ma anche la dimostrazione di come e quanto è cambiato il mondo dall’aggressione all’Ucraina. E come Crosetto dice con un sorriso che sta facendo preparare la “medaglia degli insulti di Medvedev”, l’ex presidente russo che s’accanisce spesso contro l’Italia, così Wallace dice che tutti i paesi dell’occidente si sono dovuti trasformare in pochissimo tempo assumendosi la responsabilità di decisioni strategiche che hanno un impatto almeno sul prossimo decennio: non importa se qualcuno ci ha messo più tempo o se qualcun altro appare ancora adesso, dopo un anno di guerra, riluttante. L’importante è aver accettato la trasformazione, aver sottomesso le singole, giustificatissime cautele (“non sembra ma sono anche un politico”, dice Wallace) a un interesse collettivo più grande, europeo e atlantico, in difesa dell’Ucraina.

 

Un ministro britannico che non indugia sulla litigiosità perniciosa degli europei è già di per sé straordinario, ma Wallace completa il suo ruolo di guida mettendo velocemente in fila le ragioni per cui non ci si può sottrarre dal sostenere l’Ucraina, l’ordine internazionale non è un concetto vago o accademico, è il nostro desiderio di vivere liberi e di sconfiggere repressione e oppressione ogni giorno, nei nostri desideri. Sa che il sostegno all’Ucraina è costoso quanto indispensabile, sa che la violenza e il disprezzo per il suo stesso popolo di Putin non vanno sottovalutati ma ricorda che “la più grande offensiva della Russia in Ucraina è stata quella del 24 febbraio di un anno fa e un esercito meno formato e meno equipaggiato come era quello ucraino al momento dell’invasione l’ha quasi sconfitta”. Respingere la Russia si può, vincere questa guerra si può, il fronte unito e disposto a buttare giù tabù militari-strategici è l’arma più forte che Zelensky ha a sua disposizione mentre cammina spedito verso l’Europa. Per Wallace il presidente ucraino è “un esempio e un uomo formidabile”, s’è ritrovato a gestire una guerra devastante, a dover costruire un’alleanza che esisteva ma era parecchio stropicciata, a “dover gestire un collasso economico” (cosa che non prendiamo in considerazione come dovremmo: pensiamo soltanto a quanto ci costerà la ricostruzione e non a cosa vuol dire per un presidente dover parlare di futuro e libertà in mezzo alle macerie)  e “intanto ha rischiato di essere ucciso più volte dai russi”. Ancora una volta Wallace ricorda che Zelensky ha anche una moglie e dei figli, e ripete: “Formidabile”.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi