una buona variante cinese

La Cina si riapre al mondo ed è una mezza buona notizia

Giulia Pompili

La riapertura può dare uno slancio insperato ad alcuni settori cruciali dell'economia globale (ma con dei rischi)

L’anno del coniglio, che nel mondo cinese inizia domenica prossima, è anche l’anno dell’incertezza. I dati economici diffusi da Pechino sul 2022 mostrano un rallentamento della seconda potenza del mondo (la crescita è stata del 3 per cento, inferiore rispetto alle aspettative del 5,5 per cento), ma dopo la riapertura improvvisa di novembre, dopo circa tre anni di chiusura totale dovuta alla pandemia, diversi analisti hanno sperato in un lento ritorno alla normalità e addirittura in un possibile contributo della Cina nella crescita dell’economia globale. Se la Cina si riapre al mondo, la situazione dovrà per forza migliorare, almeno in alcuni dei settori cruciali come quelli della produzione industriale, del turismo, della logistica e delle catene di approvvigionamento. Venerdì scorso Barclays ha aumentato le sue previsioni di crescita globale al 2,2 per cento nel 2023, con un aumento di 0,5 punti percentuali rispetto all’ultima previsione di metà novembre. L’ha fatto considerando le riaperture di Pechino, e non è la sola. L’abbandono improvviso e senza una reale pianificazione di “convivenza con il virus” ha portato a un picco di contagi immediato e quasi ovunque, che secondo gli epidemiologi potrebbe essere presto superato. Significa che nel corso del 2023 la crescita cinese potrebbe subire un rimbalzo considerevole, che avrebbe effetti anche sull’economia globale.

 

L’ottimismo riguarda soprattutto il settore del turismo, perché nel 2019 i turisti cinesi sono stati il segmento più redditizio (sono quelli che comprano di più, si muovono i gruppi numerosi, in un giro d’affari da 253 miliardi di dollari globali). I  prezzi dei voli e le misure di contenimento del virus imposte da più di trenta paesi – quasi tutti occidentali, dall’Ue all’America – renderà più lento il ritorno dei turisti cinesi da questa parte di mondo, ma quello nelle più popolari destinazioni asiatiche è già iniziato. La Thailandia per esempio, che tre anni fa ha accolto 11 milioni di visitatori cinesi, è stato anche uno dei pochi paesi ad accogliere a braccia aperte i primi turisti cinesi di nuovo a Bangkok o Phuket, letteralmente: al primo volo turistico della Xiamen Airlines atterrato a Bangkok, la scorsa settimana, i primi visitatori sono stati accolti in aeroporto da tre ministri del governo thailandese. 

 


La riapertura al mondo della Cina è fondamentale per combattere l’inflazione globale e ricominciare a crescere, ha detto al pubblico di Davos Liu He, fedelissimo di Xi Jinping, vicepremier e quasi-ex zar dell’economia di Pechino. Il messaggio che portava ai grandi della finanza e degli investimenti era: non fidatevi di chi parla di decoupling, di chi prende decisioni economiche sulla base di preconcetti politici, avete bisogno della Cina. E’ un’idea diffusa, anche nei paesi dell’Unione europea, soprattutto dopo la chiusura del mercato russo a seguito della guerra in Ucraina. Ma gli analisti che seguono le dinamiche cinesi non solo dal punto di vista economico sono meno ottimisti. Ieri il Mercator Institute for China Studies (Merics), think tank tedesco fra i più autorevoli sulla Cina, ha pubblicato il suo annuale report di previsioni per l’anno che è appena cominciato, e il livello di incertezza sulla Cina “non è mai stato così alto”, si legge nel documento. Questo perché la politica nazionalista accentrata nelle mani di Xi Jinping e dei suoi fedelissimi è imprevedibile, così come lo sarà l’economia, “sottoposta a un maggiore controllo statale”, si legge nel report: “La leadership cinese si rimetterà alla visione e all’ideologia di Xi, senza lasciare spazio alla consultazione politica collettiva o al pragmatismo politico, già noti alle amministrazioni di un passato non troppo lontano. Il mantenimento dell’ordine pubblico e il contenimento delle proteste sono considerati la questione più importante per il Partito comunista cinese quest’anno”.

 

Sin dall’inizio della pandemia, con un’accelerazione profonda con l’inizio della guerra in Ucraina e la partnership “senza limiti” della Cina con la Russia, non è più possibile separare il piano politico da quello economico con Pechino. Ci sono flebili segnali di dialogo nello scontro tra America e Cina – ieri Liu He ha incontrato la segretaria del Tesoro Janet Yellen – ma questo non mette al sicuro da nuove eventuali strette da parte cinese, soprattutto quando si parla di coercizione economica. La leadership di Xi Jinping ha già dimostrato di essere disposta a tutto pur di far passare la sua idea di ordine globale, e qualunque paese le si metta di traverso deve essere pronto a subirne le conseguenze, quasi mai politiche, quasi sempre economiche e commerciali. Per spiegare l’improvvisa riapertura e il  ritorno al dialogo con l’occidente, Evan S. Medeiros, docente alla Georgetown University ed ex consigliere di Obama, ha detto ieri al New York Times: “I cinesi sono preoccupati, e dovrebbero esserlo. L’intera comunità economica internazionale è molto  negativa nei confronti della Cina sul lungo periodo. Negli ultimi vent’anni, Pechino ha beneficiato sia del suo peso geoeconomico sia del suo slancio geopolitico, ma nell’ultimo anno ha perso entrambi”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.