Così l'America, l'unica superpotenza, adatta il nostro arsenale della democrazia

Paola Peduzzi

Washington sta riorganizzando gli alleati per dare agli ucraini quel che serve adesso contro Vladimir Putin

Milano. Mosca rivendica il bottino misero e sanguinante della carneficina di Soledar (e di Bakhmut) nel Donbas sfigurato dalla sua invasione, ma queste settimane di guerra corpo a corpo hanno attivato una nuova fase tra i paesi alleati dell’Ucraina, con l’indispensabile regia degli Stati Uniti. Crollano i tabù sulle armi necessarie a Kyiv per respingere l’attacco russo, dai Patriot ai carri armati, si sfalda l’idea che la Russia possa costruire un ordine globale alternativo a quello liberale, resta la trama tenace di solidarietà e determinazione dell’unica superpotenza. 

 

Mentre la propaganda del Cremlino fa credere ai russi che ci siano in occidente ventilatori enormi che spingono il freddo verso la Russia (sono le pale eoliche), mentre i generali russi e il signore della Wagner si contendono il loro sciagurato bottino sacrificando meschini tanti giovani uomini – il disprezzo dei leader russi per il popolo russo è osceno – l’occidente prende appunti sulle battaglie, valuta e rivaluta quel che è necessario per sostenere l’Ucraina, ricuce le maglie troppo larghe dell’alleanza, si fida degli ucraini e della loro straordinaria resistenza. Non è un processo facile né consolidato: costruire l’arsenale della democrazia è un lavoro continuo che non va dato per scontato – anche questa è una lezione imparata in questa guerra voluta da Putin proprio per distruggere la strada democratica dell’Ucraina. E gli intoppi ci sono, altroché: in questi giorni è ricominciato il tormento sulla Germania, che dovrebbe dare i carri armati che servono all’esercito ucraino, ma recalcitra.

 

Ieri il Financial Times, raccontando la cautela del cancelliere Olaf Scholz nel dare il via libera all’invio dei Leopard in Ucraina (compresi quelli presenti in altri tredici paesi europei), scrive: “I leader tedeschi hanno ripetutamente esplicitato la preoccupazione che la Germania sia percepita come un paese che contribuisce all’escalation del conflitto e che provoca Putin, che ha alluso al fatto di poter far ricorso alle armi nucleari. Sondaggi recenti mostrano che la maggioranza dei tedeschi è contraria all’invio dei Leopard”. Ancora con la storia della provocazione? Ancora, sì. Kyiv non l’ha presa bene: “E’ sempre la stessa storia: prima dicono di no, poi difendono fieramente la loro decisione, salvo poi dire di sì alla fine – ha twittato il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba – Stiamo ancora cercando di capire perché  il governo tedesco si stia infliggendo tutto questo”. Anche dentro alla Germania ci sono voci contrastanti, nello stesso esecutivo, ma Scholz ancora una decisione non l’ha presa: sembra che stia aspettando che gli americani facciano la prima mossa mandando i loro sofisticati carri armati Abrams, che però hanno bisogno di maggiore manutenzione e carburante rispetto ai Leopard (in ogni caso gli ucraini hanno bisogno di addestramento per utilizzarli).

 

All’incontro nella base di Ramstein, il 20 gennaio, si prenderanno le decisioni, ma il Pentagono ha già detto: “Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’Ucraina abbia bisogno di carri armati. Questo è il momento giusto per l’Ucraina di sfruttare le sue capacità, per cambiare la dinamica sul campo di battaglia”. Gli inglesi esercitano le loro pressioni annunciando che invieranno i carri armati Challenger, i polacchi premono per inviare i Leopard loro – “Qualcuno deve dare l’esempio”, li ringrazia Volodymyr Zelensky, e molti altri paesi europei si muovono nella stessa direzione.  Claudia Major, analista del German Institute for International and Security Affairs di Berlino, dice: “Le pressioni sui Leopard sono in aumento da parte di polacchi,  inglesi e finlandesi, ma ogni cosa riguarda un  partner particolare, gli Stati Uniti, che è più uguale rispetto agli altri”. La superpotenza è una sola.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi