Le cavie di Elon

Sollecitato da Musk, il popolo di Twitter ha votato contro Musk

Paola Peduzzi

Perché il ceo di Tesla si sottopone al volere degli utenti del social network? Due spiegazioni alla modalità del referendum online:  il mercato e l’esperimento

Il popolo di Twitter ha votato: Elon Musk deve lasciare la guida del social network. Domenica Musk si è scusato per aver introdotto alcune regole restrittive senza prima consultare gli utenti di Twitter, ha detto che non sarebbe successo mai più e ha lanciato una nuova consultazione, chiedendo appunto se dovesse dimettersi da ceo del social, aggiungendo: rispetterò la volontà popolare. E puntualizzando poco dopo: il punto non è trovare un altro ceo, ma trovarne uno che riesca a tenere vivo Twitter. Il 57,5 per cento dei votanti ha detto che Musk deve andarsene (da domenica è iniziato il coro dei detrattori di Musk, quelli che hanno minacciato di andarsene da Twitter, hanno aperto il loro bravo account sull’alter Twitter, Mastodon, ma sono rimasti: è la vostra occasione, twittavano, votate!) e mentre si attendeva la dichiarazione del ceo per capire se è uno che mantiene la parola data, tutti chiedevano: perché lo fa?

 

Da quando Musk ha messo gli occhi su Twitter è scattato l’allarme, perché se un imprenditore privato può fare e fa quello che vuole con i suoi prodotti, i social sono diventati un bene collettivo, o meglio, un prodotto che ha un effetto  ampio sulla collettività. Per Musk questo deve essere proprio  l’aspetto irresistibile, non certo i conti di Twitter che non sono mai stati particolarmente attraenti né certo la sua efficienza economica: è la prima volta che questo imprenditore visionario con uno spiccato senso di onnipotenza ha a che fare con un popolo che risponde ai suoi proclami. Ha aperto una conversazione con questo popolo che si è modificata in  mesi di corteggiamenti, distacchi e riavvicinamenti con Twitter fino all’acquisto: in generale, Musk si è messo più all’ascolto, sempre con i suoi modi sprezzanti e dispotici, come se volesse creare un consenso, prima tra i suoi sostenitori, che è stata ovviamente la parte facile (e quella che ha permesso il ritorno sul social del mondo estremista legato al trumpismo, come QAnon), poi tentando un allargamento attivando la modalità dei referendum online. 

 

Perché lo fa? I Muskologi, disciplina diventata molto in voga man mano che Musk si è fatto più visibile e indecifrabile, propongono due risposte. Una ha a che fare con i soldi e con Tesla, cioè con la sostenibilità economica delle scelte di Musk.  Da quando è cominciata l’avventura Twitter, il business principale e più redditizio di Musk, Tesla, ne ha risentito: il titolo in Borsa ha perso quasi la metà del suo valore negli ultimi tre mesi, toccando la settimana scorsa un nuovo minimo a 153,28 dollari, dopo che il ceo ha rivelato in un documento pubblico di aver venduto altri 3,58 miliardi di dollari in azioni Tesla. Secondo i calcoli di Reuters, il sell off totale di Musk quest’anno è di circa 40 miliardi di dollari, che è proprio l’incubo che gli investitori di Tesla volevano scongiurare quando gli sconsigliavano di acquistare Twitter. Musk aveva detto che non avrebbe fatto altri sell off fino all’inizio dell’autunno, invece ha continuato e questo spiega perché ieri mattina, dopo che al referendum su Twitter ha vinto il partito che vuole spodestare Musk, il titolo in Borsa di Tesla ha aperto con un solido +5. In sostanza: ci sono delle forti pressioni degli investitori dei business redditizi di Musk che sperano che  il fardello Twitter venga presto dimesso, e cosa c’è di meglio della giustificazione “lo vuole il popolo”?  Finora Musk ha minimizzato le perdite di Tesla trattandole come scosse di assestamento, ma nelle conversazioni private con gli investitori avrebbe anche detto di essere pronto a lasciare Twitter in caso di un contagio negativo. L’euforia del titolo di ieri mattina sembrava una conferma: gli investitori si aspettano che Musk lasci Twitter.

 

L’altra spiegazione di questa ricerca del consenso avviata da Musk sul social ha più a che fare con le sue chiacchieratissime ambizioni politiche e geopolitiche. Dopo aver introdotto delle regole che di fatto bannavano da Twitter chi citava altri social, Musk si è scusato, ha detto che non capiterà più, ogni decisione sarà sottoposta a votazione, e da lì poi è nato il referendum sul suo stesso futuro. Mentre arrivavano questi tweet-annuncio, quasi in contemporanea, circolavano le immagini di Musk alla finale dei Mondiali in Qatar, di fianco al genero di Donald Trump Jared Kushner e, poco più in là, la moglie di Andrei Kostin, banchiere del Cremlino. Musk ambisce a diventare un interlocutore imprescindibile per molti attori, gioca a fare l’outsider onnipotente e in questa prospettiva il popolo di Twitter è la cavia di un esperimento di governance, per testare i confini tra il dispotismo della volontà popolare e il dispotismo dell’uomo forte, e poi trovare una formula di leadership adatta. Come se si volesse guidare il mondo – e noi che votiamo giulivi per cacciarlo dalla sua società siamo, ovviamente, le cavie.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi