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Al vertice Osce la Polonia guida l'isolamento di Mosca. Sembra la fine, ma “il vecchio arnese” serve ancora

Pietro Guastamacchia

“Putin ha fallito nel suo progetto di piegare il popolo ucraino e ha fallito nel suo intento di dividere questa organizzazione. È isolato anche da quei paesi che una volta erano suoi alleati", dice l'emissario della Casa Bianca. Varsavia presenterà oggi Camp Brzeg, il campo d’addestramento per le truppe speciali ucraine finanziato dall'Ue

Lodz. Isolare la Russia e compattare il fronte pro Kyiv, questa la ricetta lanciata da Varsavia per intestarsi la guida della risposta europea alla guerra di Mosca. Linea che ieri a Lodz, dove i ministri degli esteri e le delegazioni di 57 paesi sono arrivati per il vertice ministeriale dell’Osce, ha incassato l’appoggio dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell e dell’emissario della Casa Bianca, Victoria Nuland.

  
L’arringa iniziale l’ha lanciata dal palco del vertice il presidente polacco Andrzej Duda “le strategie elaborate in passato per garantire libertà e sicurezza in Europa, per risolvere qualsiasi controversia con il negoziato e la cooperazione sono morte”, ha spiegato il presidente dal palco di un’organizzazione che per tutta la Guerra fredda ha fatto della regola del consenso la sua ragione di esistere.

     
Gli ha fatto eco poco dopo il suo ministro degli Affari esteri, Zbigniew Rau, “Perché dialogare? Per cercare un consenso che ignori che una parte belligerante siede al tavolo con noi? Un consenso che neghi le violazioni ai princìpi fondamentali dell’organizzazione? La risposta di Varsavia è ‘no’, a noi quel dialogo non serve”.

  
Parole che per il forum di dialogo nato a Helsinki potrebbero essere una sentenza, ma che per Victoria Nuland invece sono l’annuncio di una rinascita, “Putin ha fallito nel suo progetto di piegare il popolo ucraino e ha fallito nel suo intento di dividere questa organizzazione, 55 paesi su 57 hanno confermato il loro attaccamento ai princìpi di Helsinki e alla difesa dei valori democratici. Vladimir Putin è isolato anche da quei paesi che una volta erano suoi alleati”. 

   
L’Osce infatti offre un palcoscenico unico per le relazioni dirette con i paesi ex sovietici del Caucaso e dell’Asia centrale, i quali se non si sono spinti al punto di condannare la guerra di Putin, sono stati altrettanto chiari nel distanziarsi dal supportarla, e nei margini dell’evento si sono organizzati incontri bilaterali con la delegazione americana ed europea per assicurarsi i fondi dei progetti di cooperazione. Tutti tranne il fedele alleato bielorusso, ormai sempre più legato a doppio filo a Mosca.

   
Presente a Lodz a incassare il supporto anche il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che sulle sorti del forum rincara la dose, “l’Osce è su un’autostrada verso l’inferno” accusa il ministro citando gli Ac/Dc: “Perchè la Russia abusa delle sue regole e dei suoi princìpi, per questa organizzazione sarebbe meglio andare avanti senza Mosca”. 

  
La strategia polacca di sostegno a Kyiv non si ferma qui, a vertice concluso infatti oggi Varsavia presenterà alla stampa Camp Brzeg, il campo d’addestramento per le truppe speciali ucraine finanziato da Eumam, la missione di assistenza militare dell’Unione europea a sostegno dell’Ucraina. Alla guida del progetto il generale Piotr Trytek, comandante dell’11a divisione di cavalleria corazzata “Lubuska”, l’élite dei carristi polacchi, un battaglione addestrato all’uso proprio di quei tank tedeschi della ​​Rheinmetall che Kyiv chiede a gran voce da mesi.

 
Il ministeriale di Lodz, l’ultimo atto della presidenza polacca, si chiude quindi con una sfida aperta sui princìpi ai danni della strategia del dialogo a tutti costi, un testimone bollente che Varsavia ora passa nelle mani di Skopje, che si appresta a inaugurare la chairmanship del 2023 affidata alla Macedonia del Nord. I balcanici ereditano infatti uno stallo destinato a durare ma gli endorsement di Bruxelles e Washington mettono in chiaro che l’Osce non intende chiudere i battenti. Ma con Mosca pronta a bloccare qualsiasi decisione in seno al Consiglio permanente, l’organizzazione come minimo è destinata a entrare in uno stato di semi ibernazione finché qualcosa non cambierà, fino al prossimo ribaltamento nelle trincee, a Kyiv, o perché no, a Mosca. E quando dovesse accadere allora anche i più intransigenti abbasseranno la guardia sui princìpi per rimettere in moto il dialogo dell’Osce, che tra i corridoi di Lodz qualcuno chiama ancora “un vecchio ma utile arnese della Guerra fredda”. 

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